sabato 29 ottobre 2011

Il club di Jane Austen - Emma

Fino a non molto tempo fa, di Jane Austen avevo letto un solo romanzo: "Orgoglio e pregiudizio", forse il più famoso. Mi era piaciuto, ma mi era bastato; dubito che avrei letto qualcos'altro di quest'autrice, se non fosse venuta fuori la proposta di entrare a far parte del "Club di Jane Austen", promosso dalla mia amica Alessia a seguito della visione dell'omonimo film e del proposito di "copiarne" l'idea.
Ho aderito perché il gruppo che si andava formando intorno all'iniziativa di Alessia era simpatico e poi perché, in fondo, si tratta né più né meno di un circolo di lettura. Non ho mai fatto parte di circoli di lettura, e quindi... perché no? 
Il nostro è un gruppo serio, che si è messo subito a "lavorare" con impegno. Dopo aver letto "Ragione e sentimento", "Orgoglio e pregiudizio" e "Mansfield Park", è stata la volta di "Emma", uscito nel 1815, l'ultimo dei romanzi austeniani ad essere pubblicato con la sua autrice ancora in vita. Infatti i due restanti ("Persuasione" e "L'Abbazia di Northanger" uscirono postumi. 
In "Emma", così come negli altri romanzi austeniani, ho trovato un po' difficile l'avvio; la classica sensazione di quando una lettura "non decolla". Però una volta "partito" il romanzo mi ha molto presa, e l'ho letto volentieri. In fondo questo modo lento di essere introdotta nel cuore della vicenda richiama, metaforicamente, la circospezione e la cautela con cui avveniva l'ingresso di un nuovo membro nella buona società di campagna nell'Inghilterra di fine settecento; più in generale, richiama la lentezza dei tempi che furono.
E dunque, una volta introdotta in questa piccola comunità, mi sono ritrovata seduta nel salotto della famiglia Woodhouse, sorseggiando tè e osservando attentamente i minimi accadimenti caratterizzanti le relazioni tra i componenti di questo gruppo: i tentativi di Emma di "sistemare" l'amica Harriet, il corteggiamento di Emma da parte del viscido Mr Elton, destinato a fallire e a portare quest'ultimo a sposare l'altrettanto viscida Miss di cui ci si scorda subito nome e cognome, il fidanzamento segreto tra l'affascinante e frivolo Franck e l'algida e riservata Jane, l'ipocondria di Mr Woodhouse, le chiacchiere incessanti della signorina Bates - l'immancabile zitella -, il discorrere sul brutto tempo, le carrozze e i cavalli, e l'avvenimento "clou" della stagione, il ballo alla Locanda Corona... il tempo passa lentamente e alla fine succede l'unica cosa che poteva succedere, la protagonista sposa il personaggio che le stava accanto fin dalla prima pagina e che non si era mai mosso da lì. Come negli altri romanzi della Austen, ci si ferma davanti all'altare; oltre non si va; non sapremo mai che tipo di coppia saranno Emma e Mr Knigthley; possiamo solo immaginarlo, poiché l'autrice non si avventura a descriverne le sorti. Solo in un caso, alla fine di "Orgoglio e pregiudizio", nell'accennare qualcosa sulla vita di coppia di Lizzy e Mr Darcy, la nostra scrittrice si sbilancia un po', prendendola, peraltro, alla larga, e partendo dal rapporto tra le cognate Georgiana e Elizabeth:
"Georgiana teneva in gran conto Elizabeth, anche se da principio aveva giudicato con uno stupore che rasentava lo spavento la sua vivace, disinvolta maniera di parlare col marito. Vedeva suo fratello, da lei trattato con un rispetto che superava quasi l'affetto, preso in giro con affettuosa allegria. Imparava, dall'esempio di Elizabeth, quello che non avrebbe mai creduto prima, e cioè che una donna può prendersi col marito delle libertà che un fratello non può permettere a una sorella più giovane di lui di ben dieci anni".
E noi? Com'è che a quasi duecento anni di distanza noi del "club", donne moderne, single, sposate, mamme, fidanzate, single di ritorno, impegnate con lavoro, casa e famiglia, ci appassioniamo ancora alla discussione dei piccoli intrighi amorosi e dei pettegolezzi austeniani? Forse è perchè, in un certo senso, ce li portiamo dentro intatti, quasi che i secoli non fossero passati, a costruire un piccolo, ideale rifugio per i nostri affanni. Oggi le cose vanno assai diversamente rispetto ai tempi (e all'ambiente) di Jane Austen, ma c'è una parte di noi - un angolino del nostro cuore - che vorrebbe almeno provare a trascorrere interi pomeriggi accanto al caminetto a ricamare e a parlottare dell'ultima famiglia arrivata a far parte del vicinato, per poi concludere la serata giocando a whist o suonando e cantando per le nonne, le zie e i vicini di casa in visita. 
Magari non reggeremmo a lungo e dopo una settimana di simili passatempi ci dichiareremmo irrimediabilmente stufe e torneremmo volentieri alle nostre giornate super impegnate. O forse, chissà, i ritmi pacificati e lenti di quella esistenza fuori dal tempo pian piano ci conquisterebbero...
Comunque sia, la suggestione di quel quadretto - noi in abito lungo e cuffietta che ci aggiriamo per una grande casa di campagna preparando tè, scrivendo lunghe lettere all'amica del cuore, ricamando e cucendo sedute di fronte alla finestra, le dita attente all'ago e il pensiero che continuamente torna a quella certa frase pronunciata dall'affascinante proprietario della tenuta vicina  - è molto, molto potente.   

venerdì 21 ottobre 2011

Lettori in viaggio / 3

LA MAMMINA
Treno delle 7.09.
Mi siedo di fronte a una giovane donna immersa nella lettura. Tiene il libro bello alto, il titolo si legge senza difficoltà: Ken Follett, Una fortuna pericolosa. E’ molto concentrata, un bip che se ne esce dalla sua borsa l’avvisa dell’arrivo di un messaggio sul telefonino ma lei imperterrita continua a leggere. E’ magra, ha i capelli castano chiari, lunghi, lisci, con la frangetta; indossa un maglioncino di ciniglia verde squillante, con il cappuccio e la zip davanti. Pantaloni di un colore indefinito tra il verde e il grigio, attillati e a vita bassa; infatti tra il golfino verde e i pantaloni se ne spunta una striscia di carne abbronzata. Indossa dei sandalini che le lasciano quasi tutto il piede scoperto, a laccetti di perline argentate. Sul seggiolino accanto al suo una borsetta di un colore indefinito, tra il verde chiaro e l’oro, e una grande borsa di tela blu scura, con il logo di Hello Kitty, che deve essere piena di cose e dalla quale spunta il collo di una bottiglia di acqua minerale.
Si riscuote improvvisamente, prende il telefonino dalla borsa, digita svelta un numero.
“Ehi mamma sono io, ti volevo dire che Edoardo va lì da Grazia oggi, così se  ti vuoi organizzare per il pranzo e vuoi uscire… ieri sera sono tornati tardi, a mezzanotte… era così contento, con quella bandiera tutta imbrattata di gelato… voleva che gliela lavassi! Gli ho detto figurati se mi metto a mezzanotte a lavarti la bandiera…Insomma hai capito? Semmai vai con Matteo… tanto hai solo lui, te lo puoi portare anche dietro che da solo non ti da noia… Ciao mamma…”
Riattacca e si rimette a leggere. A Firenze Rifredi raccoglie le sue borse e scende; la vedo in piedi, è davvero molto magra.
(mercoledì 7 settembre 2011)

LA GIOVANE DONNA DI MONDO
Regionale delle 18.28 per Livorno. Davanti a me una giovane donna magra, tutta vestita di jeans e con le scarpe da ginnastica. Capelli lunghi e lisci, scuri, unghie laccate di chiaro. Una gran borsa bianca appoggiata sulle ginocchia. Sopra un libro aperto, con copertina cartonata. E’ arrivata quasi in fondo. Le squilla il cellulare, risponde e chiude il libro. “Il cacciatore di aquiloni.” Di Khaled Hosseini.
“Ehi, ciao! Eh? Cosa dici? Cosa cosa? Che ti ha detto? No… non è possibile, non esiste! Ma vedrai che sarà la disoccupazione… io codesta non l’avevo mai sentita dire. Si, guarda, ci mancherebbe altro, sennò va a finire che guadagnano più di noi! Vedrai sarà la disoccupazione, eh sennò è una barzelletta.”
Breve pausa. Risate.
“Ah si? Eh ormai gli mancavi solo te… si anche io c’ero uscita l’anno scorso… si lo sapevo che era solo…Vai, ci si sente domani…così mi racconti.”
Ripone il cellulare nella borsa e si rimette a leggere.
Dopo un po’ il telefonino squilla di nuovo.
“Ciao… si è andata di pomeriggio… doveva prendere ferie ma è andata lo stesso… è un periodo che non sta tanto bene, ha la pressione bassa. Ieri sera non siamo nemmeno uscite. Domani sera va a una festa… semmai sentila… io si, tutto bene… te ieri? Aperitivo tutto bene? Ah… si… ah… e quando torna? Ah lunedì…  ma il campionato quando ricomincia? Eh bè c’è ancora un po’ di tempo…bene così ti rimetti perfettamente… si domani arrivano i suoi genitori dalla Sardegna… si ho visto il meteo e domenica andremo al mare…ma credimi io non vedo l’ora di farmi un bel fine settimana a Firenze… di andare di sabato al mercato a Scandicci… va bene ci si sente… Ciao ciao ciao…”
Riabbassa e si rimette a leggere. Ma il cellulare suona ancora.
“Sono in galleria… se cade la linea è per quello. Come sta il bimbo? Ah… ma la tua sorella è rientrata al lavoro? Ah si? L’ha messo al nido… bene… fino al compimento dell’anno del bambino…eh si. Noi in questi giorni stiamo a Firenze… no venerdì no, perché, hai visto, lui rientra tardi… semmai sabato prossimo… si e se senti la Debora si fissa anche con lei. Ah si? Bellino! Eh ci credo, lo farei anch’io…bene, ci si sente… ciao ciao ciao”. Mentre mi preparo a scendere, il cellulare le squilla di nuovo e vedo che prima di rispondere ripone il libro nella borsa.
(venerdì 23 settembre 2011)

martedì 11 ottobre 2011

Le interviste impossibili / Charles Bukowski

Cristina Preti: Buon giorno…
Charles Bukowski: Hmmm (grugnito)
C.P.: Buon giorno! (forse non mi ha sentito)
C.B.: Hmmm… hmmm… chi è che rompe a quest’ora?
C.P.: Ma…e’ quasi mezzogiorno. La sua segretaria mi aveva detto…
CB: Chi? La mia segretaria? Non ascolti quella baldracca. Non sa quel che dice.
C.P.: Ma io pensavo che… l’avesse avvertito… che le avesse messo l’appuntamento in agenda.
C.B.: Cosa? Agenda? Non mi venga a scassare con questi concetti difficili… mi sono appena svegliato e ho un mal di testa colossale. La segretaria. Quella vacca devo licenziarla prima possibile.
C.P.: Cosa faccio allora? Vado via?
C.B.: Ma no, venga, si sieda. Facciamoci un goccetto.
C.P.: Cosa? Un goccetto? Non vorrei sembrarle scortese, ma… a quest’ora io di solito non bevo…
C.B.: A quest’ora, a quest’ora… che stupido concetto borghese. Cosa le dice il suo corpo? Non le dice forse che ci starebbe proprio bene un bicchierino di whisky? E allora lasci perdere l’orologio! Quest’ora, quell’altra… un goccetto va sempre bene.
C.P.: Mi scuso di nuovo, ma non posso proprio accettare. A parte l’orario, i superalcolici mi fanno male, ho il colesterolo alto e il medico dice che…
C.B.: Gesù, chiuda quella bocca! Quando sento parlare di medici mi viene da vomitare. Senta, faccia un po’ come vuole, io mi faccio un whisky. Quanto a lei, se vuole favorire, il mobile bar è lì. Si serva da sola.
C.P.: Bè, lasciamo perdere. Tanto non è che fossi venuta per bere.
C.B.. (si scola il whisky che si è appena versato) Ah! Adesso sì che si comincia a ragionare! (Torna a guardarmi) Non è venuta per bere? E allora che cosa vuole?
C.P: Bè, non è facile da spiegare… è che … insomma… so che lei è stato impiegato in un ufficio postale… volevo sapere come… come faceva a … insomma, lei è uno scrittore così famoso, mi interesserebbe sapere come è stato capace di… Vede… io… Bè anche io scrivo. Però non è il mio mestiere, nel senso che per guadagnarmi da vivere faccio altro… lavoro in pubblica amministrazione. E appunto ero curiosa di sapere da lei come ha fatto a…
C.B: Si, si, ho capito… scrittura e lavoro… guardi, dopo queste parole non mi resta che farmi un altro bicchiere. (si versa ancora whisky, lo beve d’un fiato). Dunque, signorina, lo ha letto  il mio romanzo Post Office?
C.P.: Mi spiace confessarglielo, ma… non è che il suo genere rientri proprio tra i miei preferiti e quindi…
C.B.: Mi pareva, infatti. Lei è una tipa troppo per benino. E quindi non lo ha letto. Peggio per lei. Non mi frega proprio nulla.
C.P. Ma… perché mi chiede se ho letto Post Office?
C.B. Perché così capirebbe tante cose.
C.P. Cioè potrei capire come ha fatto a conciliare lavoro e …
C.B. Ah ah ah! (ride così forte che devo zittirmi. Gli va qualcosa di traverso e si mette a tossire come un cane incimurrito. Tossisce talmente forte che diventa tutto rosso, sembra stia per soffocare.  Sputa. Tossisce. Ride. Tossisce ancora.) Ah ah ah… Conciliare… com’è che ha detto? Quant’è carina lei. Dia retta, legga Post Office e capirà tante cose.
C.P. Capirò come è riuscito a…?
C.B. Certo. Lo capirà benissimo. Ma non si tratta tanto di conciliare lavoro e scrittura… (ride di nuovo, però, stavolta, brevemente.) Ma lavoro e vita. Il lavoro è nemico giurato della vita. Della vita vera, intendo, della vita dedicata alle cose che ci piacciono. Per me, bere e… bè, davanti a una signorina così per bene non posso esprimermi come vorrei. Diciamo bere e star dietro alle donne. E per quanto riguarda lei…
C.P.: Per me scrivere, decisamente. L’ho capito da poco, ma è così. Vorrei soprattutto scrivere. Ma devo lavorare e non sempre trovo il tempo per …
C.B. Guardi, le consiglio di nuovo: legga Post Office.
C.P.: E lì troverò quali erano i suoi trucchi.
C.B.: Come no! Troverà i miei trucchi. Ah ah ah! Io lavoravo meno possibile.
C.P.: Cosa?
C.B.: Certo. Proprio così. Bevevo continuamente e mi presentavo al lavoro sempre ubriaco. Spesso arrivavo in ritardo. Certe volte invece di lavorare andavo in giro per i fatti miei. E se proprio non ce la facevo, me ne stavo a casa, a smaltire la sbornia e a ubriacarmi di nuovo.
C.P.: Eh ma io… io non potrei di certo comportarmi così. Io al lavoro ci devo andare, eccome… e poi adesso, figuriamoci, con il Ministro per la Pubblica Amministrazione che ci ritroviamo… al minimo sgarro …
C.B.: Ma se ha così paura non combinerà mai nulla.
C.P.: Vorrei vedere lei. Non si tratta di aver paura, si tratta di aver bisogno di mantenersi un lavoro. Non posso mica rischiare di beccarmi una nota disciplinare per…
C.B.: Ma sa quante ne ho prese, io, di note disciplinari?
C.P. …
C.B.: Parecchie. E infatti alla fine mi hanno licenziato.
C.P.: Ah si?
C.B.: Certo che si.
C.P.: Temo che i suoi consigli, allora, non mi siano di grande aiuto.
C.B.: Temo anche io, se quel che vuole è conservare il posto di lavoro. Vada da Trollope, che era un impiegato postale modello… o da Kafka, che faceva l’assicuratore. Qualcuno così. La mia esperienza non le servirà proprio a nulla.  
C.P.: Mi scuso… io pensavo che…
C.B. Ah ah ah! (ride sguaiato, si versa altro whisky e lo beve.) Vada, vada. E legga Post Office.
C.P. Allora arrivederci. Spero che anche lei abbia modo di leggere il mio romanzo…
C.B.: Ah, quindi ha già pubblicato un romanzo! E come si intitola?
C.P.: “La donna che morì bevendo caffè.”
C.B.:Ah ah ah! (ride, e la risata diventa talmente violenta che quasi lo soffoca. E’ tutto rosso. Sputa, tossisce. Gli occhi gli lagrimano.)… bevendo caffè… che ridicolezza… bevendo… caffè…

giovedì 6 ottobre 2011

Lettori in viaggio / 2

LA RAFFREDDATA, L’INGLESE, IL TOPO DI BIBLIOTECA E L’ARCHITETTO
Sul treno delle 7.09 per Firenze. Accanto a me si siede una ragazza alta, giovane, con i capelli castani e lisci, gli occhiali, pelle del viso molto bella, levigata e bianca, mani curate con unghie laccate di colore scuro. Ha degli orecchini a pendente lunghi, una fila di pietrine scure  (corniola?) tra le quali ne spicca una color ambra. All’anulare destro un anello d’argento con un brillantino. E’ raffreddata; ogni tanto si soffia il naso. Ha narici sottili, eleganti. Estrae un libro dalla borsa e si mette a leggere: “Cent’anni di solitudine.” Le soffiate di naso diventano più frequenti. Si sta commuovendo?
Davanti a me un uomo sui quarantacinque, che in gioventù deve aver avuto i capelli chiari, biondi, ora in avanzata fase di ingrigimento. Occhi celesti.  Ha una faccia larga e lunga, da inglese, lo vedrei bene  con i favoriti recitare in un film tratto da Jane Austen. Ha una sciarpetta blu annodata intorno al collo, su un maglione scollo a V, anch’esso blu. Legge un libro dal titolo “Un corpo nel lago”, non riesco a decifrare il nome dell’autore, troppe consonanti, certo uno dell’Europa del nord, di quelli che vanno ora di moda,  magari uno svedese.
Accanto a lui un signore sulla cinquantina, tutto grigio: capelli abbastanza folti  grigio/bianchi, gilet a rombi grigi, neri e bianchi, pantalone grigio. Indossa un paio di occhiali molto spessi, rotondi, da topo di biblioteca. Legge un tascabile della serie Urania, ma non riesco a distinguerne il titolo. E’ immerso nella lettura, tanto da stare con la faccia quasi dentro il libro, forse anche perché ci vede poco e ha bisogno di avvicinare molto gli occhi alla pagina. A Montelupo si riscuote,  inizia frettolosamente a prepararsi e scende a Lastra a Signa. 
Al suo posto si siede un passeggero appena salito sul treno, sui quarantacinque. Tipo freak: capelli castano-grigi, lisci, un po’ lunghi, pettinati con la divisa nel mezzo. Occhiali rettangolari, baffi e barba quasi completamente bianca. Indossa una camicia a righe colorate sotto una giacca blu, la camicia è sbottonata al collo. Porta una sciarpa a righe blu scure, oro e bordeaux. Indossa un cappello di feltro bordeaux, morbido, e se lo toglie subito dopo essersi seduto. Lo immagino architetto, o forse restauratore. Ha in mano un libro, un volumetto dalle pagine patinate, non tanto corposo, illustrato. Si mette subito a leggerlo: “Le Madonne di Vitale”.
L’inglese che legge noir svedesi scende a Firenze Rifredi. Io, la ragazza raffreddata e l’architetto a Firenze Santa Maria Novella.
(Giovedì 10 febbraio 2011)

IL PATRIOTA
Treno del mattino. Mi siedo di fronte a un signore immerso nella lettura. Un libro di grande formato con la copertina cartonata e la sovraccoperta. Antonio Caprarica, “C’era una volta in Italia”. I colori dominanti della copertina sono il bianco, il rosso e il verde. Il signore si aggira sui cinquantacinque/sessanta, ha la faccia larga e tonda, capelli corti grigi, con attaccattura alta sulla fronte, piccoli occhiali dalla montatura dorata, irrimediabilmente fuori moda. Passiamo da Montelupo e lui, all’improvviso, chiude il volume, se lo appoggia in grembo, serra gli occhi e si addormenta.
(lunedì 14 febbraio 2011)