mercoledì 27 giugno 2012

Eremo e filosofia/2


MA QUANTO PESA LA CREATIVITA’

All’Eremo di Montecastello (700 m a picco sul Lago di Garda) partecipo nel giugno 2012 a un seminario residenziale con la filosofa Francesca Rigotti : “Creatività e minimi sistemi”. Tre giorni di filosofia, di lago, di natura, di compagnia insolita, e di una me stessa diversa.

Ci sono occupazioni tradizionalmente considerate femminili che, dopo una opportuna trasfigurazione metaforica, vengono depurate dal loro significato materiale e diventano degne del genere maschile. Si tratta di una vera e propria espropriazione delle attività femminili attraverso una purificazione linguistica: attività, concetti, ambiti che per una forma di bonaria misoginia vengono considerati appannaggio femminile nella loro esplicazione realistica, ma possono assurgere alla dimensione maschile una volta spogliati del loro significato immediato e interpretati nella loro accezione simbolica e metaforica. Arti minori che, opportunamente sublimate attraverso la metafora, assurgono al rango di arti maggiori. Eccole qua, sono cinque:

1) - tutto ciò che riguarda i fili e le attività ad essi connesse (filare, tessere).
Le donne, col filo,  cuciono, tessono tele, lavorano a maglia e all’uncinetto. Gli uomini tessono trame politiche e intessono alleanze. Privato del suo aggancio realistico, il filo diventa immagine assai più significativa e importante: camminare sul filo del rasoio, dare del filo da torcere, reggere o tirare le fila. I ragionamenti hanno un filo logico.
2) - tutto ciò che riguarda lo stirare.
Le donne, col ferro da stiro,  stirano i panni. Stirare vuol dire “togliere le pieghe”, e quindi “spiegare”. Cioè, come recita il Devoto-Oli, “appianare una difficoltà di natura intellettuale; chiarire, rendere accessibile alla mente, illustrare”. Siamo passati dall’asse da stiro sistemato in soggiorno all’aula magna dell’Università. 
3) - le attività di cucina.
Tradizionalmente, alle donne è affidata la cucina routiniera, quella di tutti i giorni. Gli uomini invece hanno l’appannaggio della eccezionalità, nella più domestica delle ipotesi si dedicano al barbecue, in quella più mondana sono grandi chef. In senso figurato, poi, cucinare è utilizzato nel linguaggio giornalistico (cucinare un articolo) o per indicare il modo con cui si trattano le persone (cucinare a fuoco lento, per le feste, a puntino…) E non ci soffermiamo sulle innumerevoli metafore di ambiente culinario… sono fritto… cosa bolle in pentola…finire dalla padella nella brace…
4) - tutto quel che attiene il contatto con l’acqua. Le donne, con l’acqua, lavano i pavimenti, i panni, i figli. Gli uomini solcano gli Oceani ed effettuano avventurosi viaggi. Indicativo in questo senso l’incontro tra Ulisse e Nausicaa, avvenuto sulla spiaggia dell’isola dei Feaci: lui, come sappiamo, è nel bel mezzo di una delle tante tappe del suo avventuroso viaggio, lei si è recata con le ancelle a lavare i panni. E linguisticamente? Lavare l’onta, lavare col sangue, lavarsene le mani…
5) - infine, tutto quel che attiene la procreazione: concepimento, parto, allattamento. La capacità generativa non è una competenza che si possa acquisire, pertanto si tratta di un campo ad esclusivo e assoluto dominio femminile, difficilmente espropriabile… Per questo l’espropriazione metaforica deve essere molto, molto più forte. Ed ecco che dalla pro-creatività femminile si passa alla creatività maschile…
…il pensiero è come un grosso gomitolo di filo arrotolato, a tratti strettamente, a tratti in modo più lento, e visivamente è raffigurabile come il groviglio delle meningi nel cervello, del tutto simile, a guardarlo, al groviglio delle viscere. Due diversi tipi di raffigurazione, di cui il primo collegabile alla creatività come un atto etereo e leggero, un parto dell’ingegno, un parto metaforico e quindi indolore, proprio perché ricondotto alla capacità generativa maschile, del tutto astratta e estranea a quella femminile; quest’ultima è fisica e carnale, riconducibile, appunto, al groviglio di viscere.
Il parto maschile produce le idee immortali; le donne, invece, producono gli esseri mortali. E quali sono i tratti caratterizzanti questa diversa idea di creatività, intesa nella sua accezione femminile, legata alla gravidanza  e al parto?

-         è qualcosa che sta vicino alle origini
-         è qualcosa di autentico, non è copia né riproduzione
-         è qualcosa di nuovo, fuori dal comune

Questo diverso modello di creatività, quindi, non è leggerezza, non è l’idea carina che improvvisamente ti si dipana dal cervello. Creatività è gravità, come gravido è il ventre delle donne in attesa. La creatività si realizza attraverso lo sforzo e la fatica che accompagnano la gestazione; e il parto creativo, come il parto fisico, è sgravio, liberazione. 
Creatività è la grazia della pesantezza.   

Francesca Rigotti, Partorire con il corpo e con la mente – Creatività, filosofia, maternità, Bollati Boringhieri 2010

venerdì 15 giugno 2012

Eremo e filosofia/1

PENDOLARE AL QUADRATO

All’Eremo di Montecastello (700 m. a picco sul Lago di Garda) partecipo nel giugno 2012 a un seminario residenziale con la filosofa Francesca Rigotti: “Creatività e minimi sistemi”. Tre giorni di filosofia, di lago, di natura, di compagnia insolita, e di una me stessa diversa.

Mi ero ripromessa di prepararmi per questo seminario, leggendo i libri che erano stati consigliati, se non proprio tutti almeno quelli scritti dalla docente. Invece arrivo trafelata al giorno della partenza ed è con soltanto un paio di minuti di anticipo che metto piede sul treno che mi porterà a Brescia; stavo per perderlo.
Questo per dire che quando affrontiamo il primo degli incontri previsti  - La sapienza del pendolo che molte cose conosce oscillando qua e là – non so nemmeno di cosa parleremo; immagino confusamente che il discorso toccherà forse Galileo  e l’isocronia del pendolo, ma oltre non vado.
Invece tutta l’argomentazione prende una piega inaspettata. Il fenomeno del pendolo viene trattato come metafora esperienziale umana; la sapienza del pendolo deriva dal suo sperimentare dimensioni estreme e opposte così come dall’avere un punto di vista alto e inamovibile e uno basso e in costante movimento; si parla di nomadismo, migrazioni, finito e infinito, dell’esperienza che si trasforma in conoscenza, del sapere statico e granitico cui si contrappone un sapere caratterizzato dalla flessibilità.
E via via che la docente parla mi accorgo che – meraviglia delle meraviglie – si parla di me! Si, proprio di me stessa! Nel senso che anche io vivo un modello particolarmente complicato di pendolarismo, che non so come definire e che decido di denominare, per adesso, un pendolarismo misto, con una sua manifestazione interna, e una esterna.
Ch’io sia protagonista di un moto pendolare nessuno può certo negarlo, dato che ormai da anni ogni giorno alle sette del mattino (più o meno) salgo sul treno per recarmi in ufficio, a Firenze, e da lì me ne riparto a orari variabili del pomeriggio (a seconda della durata della mia giornata di lavoro) per tornarmene a casa, a Empoli. In questa specifica raffigurazione di pendolarismo, il punto fermo, il “gancio”, è costituito dal mio datore di lavoro, il filo rappresenta la mia necessità di garantirmi uno stipendio, io, infine, mi identifico nel peso. Come diceva Michelstaedter, “Un peso pende (…), quant’è peso pende e quanto pende dipende”…Più chiaro di così…
Ed ecco che nel mio moto pendolare io mi sposto quotidianamente in due realtà fisiche diverse, e sono anche due persone diverse. Quando mi colloco nella mia città interpreto la mia dimensione di base, quella di Cristina come persona privata, che vive in un determinato contesto familiare e amicale, dedita ad attività inerenti la sfera degli affetti e delle relazioni intime e private. Qui elaboro una conoscenza esperienziale principalmente emotiva e sentimentale, qui mi sento protetta, qui mi rifugio, qui mi riposo.
A Firenze, chiaramente, interpreto un altro personaggio, inserito in una dimensione del tutto pubblica,  quello di me stessa come professionista, al centro di relazioni impostate su altri tipi di presupposti, tutti riconducili, in buona sostanza, all’ambito performativo. Qui mi dedico al lavoro, progetto, elaboro, discuto anche, qui mi sento sempre messa alla prova. Firenze è il luogo del confronto, della sfida, del giudizio.
Sono diversa io e sono diverse le due città che accolgono i miei moti di andata e ritorno: l’una cittadina provinciale dai ritmi sonnacchiosi e privi di scossoni, l’altra città-cartolina dalla storia sfolgorante, crocevia dei fremiti e delle contraddizioni tipiche degli aggregati urbani della contemporaneità.   E dal mix di intrecci tra città, stili e personalità nasce una mia personale forma di elaborazione di conoscenza… la conoscenza pendolare, appunto…
L’altra mia forma di pendolarismo non si esplica in uno spazio esterno, ma interno a me stessa e riguarda una attitudine che, essendo tipica del segno zodiacale cui appartengo, si spiega facilmente, appunto, con riferimento all’oroscopo: essendo nata il 17 giugno, appartengo al segno dei gemelli. Come ognun sa Castore e Polluce, i Dioscuri, figli di Giove e di Leda, pur essendo gemelli differivano in un particolare direi di notevole importanza: a causa di un cervellotico intreccio di quelli che soltanto la mitologia greca sapeva concepire, e che non mi metto a spiegare, Polluce era immortale, Castore, al contrario, mortale. Come tutti i gemelli, i Dioscuri erano affezionatissimi l’uno all’altro e quando, al termine di una loro rocambolesca avventura, Castore fu ferito a morte, il fratello si rivolse implorante al loro padre, Zeus, perché facesse morire anche lui, oppure concedesse l’immortalità anche al gemello morente. Zeus esaudì a modo suo la preghiera del figlio; decise di ricongiungere i due gemelli permettendo loro di stare insieme per sempre, trascorrendo metà del tempo agli Inferi, l’altra metà con gli Dei, sul Monte Olimpo. Ed ecco che io, da buona gemelli, passo metà del mio tempo agli Inferi, l’altra metà sull’Olimpo…o meglio, adattando il mito alle mie personali esigenze, metà tempo in terra, l’altra metà in cielo… alternando in modo equo le due facce della mia personalità, l’una assolutamente razionale, calcolatrice e logica, l’altra artistica, sregolata e fantasiosa… e giungendo quindi ad una conoscenza davvero multiforme… non è una forma di pendolarismo anche questa?
E considerando che a questa forma di pendolarismo “interna” io affianco l’altra, quella “esterna”, non posso forse affermare orgogliosamente di essere una pendolare al quadrato? … da questa considerazione deduco che stavolta ci ho decisamente azzeccato, e che questo è proprio il seminario che fa per me…

Francesca Rigotti, Il pensiero pendolare, Il Mulino 2006