venerdì 18 gennaio 2013

Una notte d'inverno un recensore

IL FRANTOIO PARLANTE
TEATRO NEGLI SPAZI SEGRETI DI SAN MINIATO


Sabato 26 gennaio 2013, ore 21.30
San Miniato
Palazzo Del Campana Guazzesi


UNA NOTTE D’INVERNO UN RECENSORE

Presentazione-spettacolo del romanzo 
“Ma per fortuna è una notte di luna – trilogia pucciniana con delitto” 
di Cristina Preti



Con Silvia Bagnoli, Cristina Preti


Cosa succede se una giornalista deve passare la notte leggendo un romanzo per recensirlo entro le dieci del giorno dopo, pena il licenziamento dal giornale per cui lavora?

Intanto, deve rinunciare ad uscire con l’amica del cuore, che invece se ne va allegramente a una festa; e deve rassegnarsi alla lettura di 350 pagine di passioni, intrighi e acuti; si, perché il romanzo in questione è ambientato nel mondo del teatro d’opera e ha per sfondo la messinscena di tre opere pucciniane: La Bohème, Madama Butterfly e Tosca.

E così, mentre l’amica la tempesta di telefonate per avere consigli per conquistare un tipo conosciuto alla festa, la nostra giornalista si immerge nella lettura, lasciandosi travolgere dall’affascinante  mondo del melodramma, e abbandonandosi a digressioni che vanno da Charles Aznavour alle statistiche dell’Istat, dalla filosofia zen alla donna più bella del mondo, fino a giungere alla tecnica della scrittura poliziesca; perché nel romanzo, tra un duetto e un sovracuto, c’è persino un delitto, consumato addirittura sulla scena, dove un esuberante tenore viene fucilato sul serio.

La recensione sarà pronta per l’ora stabilita mentre l’amica della giornalista farà l’alba sulle tracce del tipo che ha conosciuto alla festa, di cui si è subito innamorata; perché la passione, proprio come l’opera lirica, una volta che è entrata subdolamente in circolo non ti molla  più, e non resta che sottomettersi, rassegnati, alla sua conturbante tirannia. Che, pur procurando qualche mal di pancia, colma la vita di emozione, rendendola palpitante e vera.

mercoledì 2 gennaio 2013

Le particelle elementari di Michel Houellebecq



Ho finito il 2012 leggendo “Le particelle elementari”  di Michel Houellebecq, scritto alla fine degli anni ‘90. Un romanzo complesso e inquietante che mi ha dato parecchio da riflettere; non solo e non tanto per come è scritto, ma per il tema che tratta, che potrebbe essere riassunto in estrema sintesi come la storia dei tentativi compiuti recentemente dall’umanità per raggiungere la felicità e allontanare il dolore, attraverso i movimenti e le mode che si sono susseguite e intrecciate nel secolo scorso: gli hippy, la new age, le filosofie e le meditazioni, la liberazione sessuale… tutti tentativi, secondo l’autore, miseramente falliti. L’uomo è rimasto solo e inerme davanti alla sofferenza, all’incomunicabilità e alla morte; in questo quadro apocalittico, il libro si chiude ipotizzando inquietanti scenari futuri. 
Michel Djerzinski e Bruno Clement sono fratellastri; la madre Janine ha abbandonato entrambi, insieme ai loro padri,  per correre dietro alla sua esistenza libertaria e sregolata. Michel, allevato in un clima tutto sommato amorevole dalla nonna, eccelle negli studi e diventa uno scienziato dedito alla biologia molecolare, vicino al Nobel; Bruno invece, cresciuto tra le angherie e le prepotenze del collegio, pur riuscendo a costruirsi una esistenza “normale”, con una professione e una famiglia regolare, è schiavo delle proprie ossessioni sessuali. 


Michel vive un’esistenza emotivamente asettica, è incapace di provare sentimenti di affezione e condivisione con gli altri esseri umani; la sua storia adolescenziale con la bella e dolce Annabelle non decolla a causa della sua freddezza, e i due vivranno una “seconda occasione” in età matura, che però è anch’essa destinata al fallimento. Annabelle, che ha chiesto a Michel un figlio, ma che non è riuscita a portare avanti la gravidanza a causa dell’insorgere di un tumore, consapevole della propria imminente fine, si uccide.
Bruno, per parte sua, ha esperienze sentimentali insoddisfacenti; brutto e grasso, maniacalmente attratto dalle donne e soprattutto dalle adolescenti, pur riuscendo a sposarsi e ad avere un figlio, si sente sopraffare dal malcontento, si separa, si lascia andare alla deriva della bulimia e del sesso compulsivo, fino a quando non incontra Christiane, anch’essa separata e con un figlio adolescente che le dà problemi. Con questa donna, libertaria e disinibita, forse potrebbe raggiungere una qualche forma di equilibrio, tra confidenze e ammucchiate varie  -  descritte in pagine obbiettivamente pornografiche. Ma Christiane, ammalatasi gravemente, resta paralizzata, e si uccide. Le ossessioni che da sempre tormentano Bruno lo avvincono in una spirale morbosa e oscena e lo portano, infine, alla clinica psichiatrica.
Sia il mondo razionale di Michel che quello patologico di Bruno sono desolatamente dominati dalla solitudine e dal caso; non c’è luce nelle loro esistenze.
Nella parte finale del romanzo Michel si trasferisce in Irlanda, dove, vivendo in uno stato di solitario distacco, affina e conclude i suoi studi scientifici sulla biologia molecolare pubblicando una serie di trattati prima di sparire, probabilmente suicida. Grazie alle sue intuizioni, la comunità scientifica trova il modo di studiare e poi mettere in pratica il superamento del genere umano attraverso la creazione di una nuova specie, per la quale il sesso non è fondamentale per la propria riproduzione. Il nuovo genere umano, geneticamente esente da tutti i difetti del vecchio, è composto da individui tutti con il medesimo patrimonio genetico e quindi non portatori di singole personalità; del resto, proprio questo elemento – la differente personalità degli individui – era stata la fonte della maggior parte delle sventure dell’uomo.
La nuova umanità, una specie asessuata e immortale, al di là dell’individualità, della separazione e del divenire, è una umanità riconciliata, ragionevole, e quindi felice. Il genere umano, dunque, grazie soprattutto alle geniali intuizioni di Michel Djerzinski, è la prima specie animale dell’universo conosciuto a organizzare essa stessa le condizioni della propria sostituzione.


Nel libro si alternano brani di tono nettamente scientifico, lucidi e distaccati proprio come si trattasse di un saggio di fisica, biologia o antropologia, a periodi  e descrizioni caratterizzate da una volgarità quasi insopportabile. La narrazione è pervasa di assoluto cinismo, le descrizioni sono  disumanizzate, simili all'osservazione del naturalista. Tra i personaggi i rapporti intercorrono senza che ci siano scambi emotivi, condivisioni, palpiti di alcun genere. Ci sono intuizioni di un pessimismo totale, desolanti ma basate su argomentazioni fondate: la crisi della paternità, l'orrore della preadolescenza, la competizione tra maschi, l’inutilità della psicoanalisi e delle pratiche terapeutiche alternative. Su tutto incombe la paura della vecchiaia e della morte.
Mi ha colpito, come già mi era successo leggendo, tanti anni fa, un altro romanzo di quest’autore, “Piattaforma”, l’ambivalenza con cui Houellebecq dipinge la figura femminile; soggetto verso il quale il maschio tende con tutte le sue forze, in modo ossessivo, e dai cui comportamenti spesso dominati da egoismo e autoreferenzialità in un certo qual modo disumani, discendono per l’uomo infiniti problemi di identità e autostima; ma anche unico mezzo per raggiungere, forse in modo illusorio, una qualche forma di stabilità e di equilibrio, se non proprio di felicità. 
Ecco le ultime parole del romanzo: “Questo libro è dedicato all’uomo”; ma non all’uomo clonato e perfetto che compare nel visionario finale del racconto; è dedicato all’uomo appartenente alla vecchia specie; questa “specie sventurata e coraggiosa…dolorosa e vile, di poco diversa dalla scimmia, e che pure recava in sé aspirazioni assai nobili. Questa specie tormentata, contraddittoria, individualista e rissosa, di un egoismo sconfinato, talvolta capace di inaudite esplosioni di violenza, ma che tuttavia non cessò mai di credere nella bontà e nell’amore.” Questa specie che siamo noi…