sabato 26 novembre 2011

Un caffè borghese

Alla presentazione del mio libro a Empoli, la città dove vivo, tenevo molto, per ovvi motivi. Il fatto ch’io abbia pubblicato un romanzo ha destato la naturale curiosità delle persone che conosco e per quanto la presentazione non aggiunga nulla al fatto in sé – uno può recarsi in libreria e acquistare il romanzo, se ne ha voglia, sia stato esso “presentato” o meno – c’era, in amici e conoscenti, una sorta di “aspettativa” della presentazione, quasi si trattasse di un rito, il momento definitivo di ufficializzazione e consacrazione: si, è vero, hai scritto un libro e lo hai pubblicato, ma finché non l’hai presentato, e presentato nella città in cui vivi, a noi, alle persone che conosci e che frequenti abitualmente, ebbene, fino a quel momento si tratta di un evento vero a metà.
Con la libreria Rinascita di Empoli ho un rapporto che affonda le radici negli anni della mia giovinezza, quando il negozio era ancora nella vecchia sede, in Via della Noce. Ho cercato tra i miei ricordi l’immagine più remota legata a questa libreria; mi rammento, lontanissimo nel tempo, un pomeriggio degli anni del ginnasio in cui, nella vecchia sede di Via della Noce, cercavo con un’amica un libro da regalare a un ragazzo che forse ci piaceva un po’. Comprammo “La boutique del mistero”, di Dino Buzzati.
La libreria è nella sede attuale dal 1994; incredibile quanto ancora io la percepisca, in fondo, come una sede molto recente, in cui il negozio si è trasferito da pochissimo. Questa sede per me resterà “nuova” per sempre, anche tra trent’anni…
E così il sette ottobre 2011 ci siamo ritrovati alla libreria Rinascita, nella sua sede “nuova” di Via Ridolfi,  per la presentazione de “La donna che morì bevendo caffè.”
La presentazione è stata curata da Marisa; Silvia ha letto alcuni brani. C’era molta gente, molte facce conosciute, un clima accogliente e di entusiasmo che mi ha fatto sentire, ovviamente, a casa.


Marisa mi ha fatto tante domande, ancora una volta ho constatato quanto sia vera quella osservazione in base alla quale una volta che uno scrittore ha pubblicato il suo libro smette in un certo senso di esserne il padre o la madre, poiché il libro, proprio come fanno i figli, prende la propria strada, se ne va per il mondo e ti abbandona, e attraverso l’intervento di chi lo legge diventa “altro”, diventa quello che il lettore vuole che diventi. Lo stesso libro si trasforma in qualcosa di diverso per ognuna delle persone che lo leggono. Meraviglia delle alchimie psichiche e mentali.
Così Marisa, nella sua introduzione e nelle sue domande, si è soffermata su tematiche e particolari che io nemmeno ricordavo di aver trattato… o che pensavo fossero interpretabili in altro modo… o che non credevo potessero assumere una particolare evidenza. Tra le varie questioni da lei annotate, una mi ha colpito.
“Nel romanzo si parla di borghesia” dice Marisa. “Una parola che non sentivo nominare da tanto tempo”.
E’ vero. Nel romanzo, a un certo punto, emerge questa tematica: Orso, il protagonista, viene accusato da una ragazza di essere “borghese”, resta molto colpito da questo appunto e per un po’ di tempo riflette sulla faccenda, e alle persone che frequenta chiede: ma secondo te cosa vuol dire borghese?
Le risposte sono generiche, lui stesso sa che la domanda ha poco senso e la questione resta un po’ così, sospesa a mezz’aria, tra il malumore del povero Orso, al quale non ne va bene una, e lo scorrere della vicenda.
In effetti Marisa ha ragione, di borghesia oggi si parla poco forse perché in quanto classe sociale non esiste più, o almeno non nell’accezione storico-politico-sociologica in cui la si poteva intendere fino al secolo scorso.
Nel mio romanzo – e nell’accusa che la ragazza rivolge a Orso – l’essere borghese è diventato, più che una connotazione socio-politica,  una caratteristica comportamentale, un atteggiamento culturale; il borghese del mio romanzo è un benestante chiuso nei propri riti e nelle proprie abitudini da persona per bene, conformista, poco aperto al mondo esterno, rassicurato dal proprio ambiente provinciale e chiuso, senza alcuna voglia di confronto, di guardare “oltre”.

Così, mentre Marisa continuava con le sue domande e la presentazione andava avanti, mi è tornata in mente una canzone degli anni ’70, di Claudio Lolli, della quale però riuscivo a ricordare soltanto il ritornello:

Vecchia piccola borghesia, per piccina che tu sia
Non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.

Una volta a casa, quindi, ho cercato il testo completo e me lo sono letto;

Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia

…sei contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana
se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana

… sei soddisfatta dei danni altrui ti tieni stretta i denari tuoi
assillata dal gran tormento che un giorno se li riprenda il vento
 
…godi quando gli anormali son trattati da criminali
 chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali
 
…sai rubare con discrezione meschinità e moderazione
 alterando bilanci e conti fatture e bolle di commissione
 
… sai mentire con cortesia con cinismo e vigliaccheria
hai fatto dell'ipocrisia la tua formula di poesia.
 
… di disgrazie puoi averne tante, per esempio una figlia artista
oppure un figlio non commerciante, o peggio ancora uno comunista

… sempre pronta a spettegolare in nome del civile rispetto
sempre fissa lì a scrutare un orizzonte che si ferma al tetto
 
Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia
Per piccina che tu sia il vento un giorno, forse, ti spazzerà via

Non è esattamente così la borghesia del mio povero Orso, ragazzo di buona famiglia, certo, ma una famiglia nella quale non si ritrovano le punte di cattiveria e gretta perfidia di cui canta Lolli. Anzi; i disgraziati e i criminali non sono affatto stigmatizzati (la madre di Orso, insegnante, si prende cura dei suoi allievi più sfortunati), l’avere una figlia artista non è considerata una disgrazia (la sorella di Orso, Chiara, dipinge) e non c’è alcuna intenzione di chiudere in manicomio gli intellettuali (per diversi personaggi la cultura è valore fondamentale). La borghesia del mio romanzo è una borghesia progressista, anche se non ha abbandonato la sua tradizionale matrice di ipocrisia e perbenismo; come ben dice Lolli, è rimasta sempre fissa lì a scrutare  un orizzonte che si ferma al tetto.
E forse è per questo che non si è evoluta, ma si è semplicemente estinta…


sabato 19 novembre 2011

Lettori in viaggio / 4

Martedì 27 settembre 2011

LA CINOFILA E IL PROFESSIONISTA 
Treno per Firenze delle 7.09. Davanti a me, una giovane ragazza con in braccio un cane, un barboncino nero molto vivace. Collarino vezzoso, color rosa. Evidentemente curatissimo. Mentre mi sistemo a sedere, la ragazza piega il giornale che ha appena finito di leggere e lo appoggia in equilibrio precario sul bordo del finestrino. Il cane scodinzola; sorrido. La ragazza mi dice che il barboncino si chiama Ania. Accanto a lei si siede un uomo giovane, molto alto, calvo di quella calvizie classica, iniziata con una stempiatura e progressivamente ampliata fino a scoprire interamente la testa lasciando un’aureola di capelli intorno. Testa rotondissima, lucida. Barba e baffi castano scuri, accuratamente sagomati da una attenta rasatura, barba brizzolata sul mento. Ha un completo giacca e pantaloni nero, camicia di un azzurro chiarissimo, cravatta scura sottile. Mocassino nero, lucido. Potrebbe essere un avvocato, o un commercialista. Appena seduto estrae un libro da una borsa di pelle nera piuttosto logora che si appoggia sulle gambe, ponendoci sopra il libro da leggere. “I volenterosi carnefici di Hitler”, di Daniel Jonah Goldhagen.
La ragazza col cane, prima di scendere, mi chiede se voglio il giornale, chè tanto lei lo ha già letto.
E’ un giornale locale che di solito non compro. La ringrazio. Al bar, facendo colazione prima di entrare in ufficio, sfoglio questo quotidiano che non leggo mai e scopro che una cara amica che non vedo e non sento da tanto tempo si è aggiudicata  un importante premio nazionale per l’imprenditoria femminile.

Martedì 27 settembre 2011

LA ROMANTICA
Treno ore 15.10 per Siena. Donna di mezz’età, tra i quarantacinque e i cinquanta. Capelli corti decisamente neri, fini, con breve ciuffo pettinato a destra, stile Haudry Hepburn. Porta occhiali scuri da sole, dalla montatura leggera. Alle orecchie due lunghi pendenti con pietrine bianche sfaccettate. Indossa una t-shirt di cotone nera con grande scollo rotondo, pantaloni neri infilati in un paio di stivaletti color crema. Dallo scollo si scorge un generoso decolletè tutto punteggiato di efelidi marroncine. Una sottile sciarpa di seta, anch’essa color crema, è avvolta intorno al collo e poi scende giù ad annodarsi sul petto. Unghie laccate di un marrone molto scuro. Mastica chewing gum e legge un libro in edizione economica, che riporta in copertina la foto di spalle di un mezzobusto femminile con i capelli al vento: Mary Kate Stilton, “Un vuoto da colmare”.
Ha appoggiato la sua grande borsa chiara sul seggiolino accanto. A Firenze Rifredi, una signora appena salita le chiede se il posto è libero. “Certo!” esclama, con voce cristallina e decisa. Prende la borsa, se l’appoggia sulle ginocchia, ci sistema sopra il libro, e continua a leggere masticando il suo chewing gum.

domenica 6 novembre 2011

Le interviste impossibili / Umberto Eco

CRISTINA PRETI: Buongiorno, professore.
UMBERTO ECO: Buongiorno… (tace, gira la pagina del libro che ha in mano e continua a leggere)
CP… forse la disturbo? Vuole che torni più tardi?
UE: No, no… venga pure. Mi scusi, ma sono immerso in una lettura così appassionante. Un trattatello di Invernizio da Pergoleto sul Millenarismo, corredato da una serie di accurati ritratti dei più importanti esponenti del movimento. Lei conosce Invernizio da Pergoleto, immagino.
CP: … ecco… se devo essere sincera…non è che questo nome al momento mi sovvenga in modo particolare e …
UE: Capisco, capisco. Tra gli studiosi di millenarismo ormai è noto soltanto Charles Du Prêtre De la Clef Du Roi. Tutti conoscono soltanto lui, per il resto, zero. O tempora, o mores! E lei cosa ha letto di Charles Du Prêtre De la Clef Du Roi? “Le millénarisme et le jardin suspendu”?
CP: (Ma di cosa sta parlando?)… mi spiace deluderla, ma non ho fatto studi così approfonditi e …
UE: “Le merveilleux monde du millénarisme distrait”?
CP: …non conosco nemmeno questo testo…
UE “Le millénarisme, cet inconnu”? E’ il testo più conosciuto. Un classico.
CP: Guardi, mi appunto questi titoli e quando torno a casa me li procuro e li leggo…
UE: Scusi, ma vedo qui che quando mi hanno messo in agenda l’appuntamento con lei l’hanno definita scrittrice. Pensavo avesse una cultura adeguata alla sua qualifica. Ma evidentemente non è così. O tempora, o mores!        
CP: (Dio mio. È matto.) Sono mortificata. Le assicuro che non appena arrivo a casa…
UE: Invece di perdersi in scuse si metta sotto con lo studio. Mi sembra proprio che le manchino le basi. Poveri noi. O tempora… Dunque, se è definita scrittrice sarà perché ha scritto un libro.
CP: (Finalmente! Forse si comincia a parlare di cose normali) Esattamente, è proprio così!
UE: Bene. Come si intitola? E di cosa tratta?
CP: Il mio romanzo si intitola “La donna che morì bevendo caffè”. Tratta del rapporto madre-figlio.
UE: Ah. Topica classica.
CP: Scusi?
UE: Classica, classica. Topica classica.
CP: (Ma cosa ha capito?) … professore…io non voglio certo contraddirla, ma il mio romanzo non è che si concentri su questi argomenti … come dire… così scabrosi… parla soprattutto del rapporto madre-figlio e…
UE: E io cosa ho detto? Scabrosi? Quali argomenti scabrosi? Ho affermato soltanto che la topica è classica. Non può certo darmi torto. Non vorrà sostenere che la topica non è classica. A meno che lei non conosca il significato della parola “classica”…
CP: Ma no, si figuri, semmai è sull’altro termine che potrei avanzare qualche dubbio…
UE: Quali dubbi? Nessun tipo di dubbio su topica, spero. Cos’è la topica? Notoriamente il  metodo per individuare tipi di argomentazione persuasiva in questioni non risolvibili col ragionamento apodittico. Conosce lei il ragionamento apodittico?...
CP: (Dio mio, ma cosa vuole questo?) Dunque apodittico… guardi io posso solo provare a ... apò… beh mi vengono in mente altre parole che cominciano con apò… apostata, apocalisse, apostrofo…
UE: Ma cosa dice? Suvvia, si concentri… ragionamento apodittico… apodittico!
CP: (Gesù e adesso? Che figura…) Guardi, cerco di arrivarci… lascio perdere apò e mi concentro su “dittico”… dunque dittico a differenza di trittico che indica un qualcosa composto di tre parti ne indica una composta di due… quindi il ragionamento apodittico è quello che deriva dal confronto di due  questioni…e…
UE: Lei sta arrancando, è chiaro… apodittico, semplicemente il contrario di anapodittico. E quali sono le verità anapodittiche?
CP: Le verità… anapo…
UE: Guardi, se io le dico “ogni cerchio ha un centro”, il giudizio formulato è apodittico o anapodittico?
CP: (Dunque manteniamo la calma… ho il 50 e 50 di possibilità.... mi butto.) Ma ovviamente apodittico, professore.
UE: Vede? Vede che non è difficile? Non è adeguatamente preparata, eppure mi sento di affermare che può farcela. E dunque torniamo a questo suo scritto, questa “Donna che morì bevendo caffè”. In che epoca è ambientata la storia?
CP: (Ecco, via, forse è la volta buona che si comincia.) Ai nostri giorni. La donna muore nel settembre 2007…
UE: Quindi dopo il Concordato di Worms.
CP: Come ha detto, scusi?
UE: La vicenda è ambientata dopo il Concordato di Worms.  
CP: Bè… presumo di si.
UE: Che vuol dire “Presumo di si”? I casi sono solo due. La vicenda si svolge o prima o dopo il Concordato di Worms. Allora?
CP: (Accidenti a lui. Devo rispondere. Non ricordo nulla di questo cavolo di Concordato, ma sarà roba del medioevo.) Dopo, professore. Si svolge dopo.  
UE: Bene. Ma non creda di potersela cavare così. Ricorda la data del Concordato di Worms?
CP: (Oh Dio, si ricomincia.) Io… ora con esattezza non ricordo… diciamo che  potrebbe essere verso… il 1100, 1200…
UE: Mi scusi, ma è una risposta inaccettabile. Una scrittrice quale lei proclama di essere non può non ricordare la data del Concordato di Worms, snodo storico fondamentale, che segnò la momentanea chiusura del conflitto per le investiture tra Stato e Chiesa. Immagino che se non sa in quale data fu sottoscritto questo concordato tra Enrico V e papa Callisto II, non saprà niente nemmeno del canonista  Ivo di Chartres, che negli ultimi anni del secolo undicesimo…
CP: (Aiuto. Meglio scappare…) Mi scusi professore… mi sta squillando il cellulare. Devo salutarla.
UE: Come? Se ne va? Ma… lei voleva intervistarmi, farmi delle domande sui miei libri, sulle mie tecniche di scrittura… o sbaglio?
CP: Si, si, è così, ma… sarà per un’altra volta. E’ stato un piacere… arrivederci professore. (scappa precipitosamente)
UE: Arrivederci, arrivederci. (Scuote la testa) Che strano tipo. Tutti così questi giovani, pieni di ambizioni ma ignoranti come capre. O tempora, o mores! Dunque dov’ero rimasto? Ah! Il mio Invernizio da Pergoleto! (si rimette a leggere)