martedì 27 marzo 2012

Autrice o scrittrice?

Il bello di promuovere il proprio libro in giro è che può capitare di scoprire realtà particolarmente interessanti là dove meno te lo aspetti. Il 20 marzo ho presentato il mio romanzo a Campi Bisenzio, dove c’è “Libri di Toscana”. Uno spazio polivalente di cui si è dotato il settimanale Metropoli: una libreria ampia, confortevole e anche elegante, che dà spazio a autori e editori toscani vendendone i libri e promuovendo iniziative per la loro presentazione.
Mi intervista Giulia Ballerini, una ragazza che dà subito prova di essersi preparata con grande scrupolo; ha letto il libro con molta attenzione, tanto che ne cita frasi e brani con disinvoltura e precisione di riferimenti.
A me le presentazioni piacciono, non posso negarlo; ma mi fanno anche un po’ paura, perché l’intervistatore spesso non si accontenta e magari butta là qualche domanda che ti coglie di sorpresa costringendoti a rapide riflessioni spesso su concetti non banali.
E Giulia è appunto una cui piace scavare…



A un certo punto mi chiede: ma tu ti senti più autrice o scrittrice?
Bella domanda… Scrittrice, rispondo. Argomento qualcosa, la discussione prosegue prendendo subito altre pieghe ma il quesito continua a risuonarmi in testa, unitamente alla convinzione di aver dato una risposta soltanto parzialmente soddisfacente, e alla voglia di approfondire questo dilemma.
Cosa fa un autore di diverso da uno scrittore? E io, perché ho risposto che mi sento una scrittrice piuttosto che un’autrice?
Sul momento, ho fatto semplicemente riferimento al significato delle parole: un “autore” è chi ha pensato e creato qualcosa, non necessariamente un testo, ma anche un film, un quadro, una scultura… si dice, addirittura, autore televisivo… uno “scrittore” è una persona che scrive. E’ qualcuno che si dedica ad una attività prettamente letteraria.
E io questo mi sento: una persona che scrive. 
Volendo approfondire, si può prendere in esame il rapporto tra idea creativa e forma espressiva; è l’istanza creativa che si presenta come idea che poi si sviluppa attraverso una certa forma, o viceversa è la forma, il mezzo espressivo che prevale, modella l’idea stessa, la configura, le dà sostanza e profili definiti?
Nel mio caso, non ci sono dubbi, è la seconda ipotesi che ricorre. E’ attraverso la scrittura come mezzo creativo e espressivo che riesco a dar forma alle mie percezioni, ho bisogno della scrittura in quanto tale per esprimermi, non potrei essere autrice di nulla se non attraverso la scrittura. Quella della scrittura la intendo come un’attività quasi artigianale, che ha a che fare con l’assemblaggio fisico delle parole, la composizione di mosaici di frasi e periodi.
E, aggiungerei, mi sento non solo scrittrice, ma più esattamente scrittrice di storie. Il mio bisogno espressivo è pienamente appagato dal creare storie attraverso la scrittura, immaginare personaggi e situazioni, vivere altre vite, e fermare tutto su carta. Mi sono accorta, da poco tempo peraltro, che questa – la scrittura di storie – è l’unica forma di scrittura che mi appaga veramente. Il giornalismo, per intendersi, non mi attira per nulla, men che meno l’idea di scrivere saggi  o dissertazioni di altro genere. Sento di essere quella che gli anglosassoni chiamano novelist, una romanziera.
Meditando su questi concetti, il mio pensiero è andato alle indimenticabili serate trascorse per tutto il 2009 insieme agli amici del gruppo di scrittura F.B.S. (Fa bene scrivere, il corso grazie al quale ho scoperto la mia vera vocazione!)
Non si trattava di un classico corso di scrittura creativa, ma di qualcosa di molto diverso, qualcosa di più o forse di meno, chissà. La caratteristica che accomunava tutti noi frequentanti era una grande titubanza nell’ammettere ambizioni o aspettative particolari. Eravamo talmente modesti, che nessuno di noi osava definirsi “scrittore” né ammettere di aspirare a diventarlo. Una sera il conduttore del gruppo, forse per darci una bella scrollata, ci disse che tutti noi eravamo definibili attraverso una parola che iniziava per S. e ci invitò poi, uno per uno, a dire quella parola. Non ricordo se qualcuno disse “SCRITTORE”. Ricordo che una compagna si definì “SIGNORA”, un’altra, forse, “SOGNATRICE”, un’altra ancora, molto spiritosa, disse addirittura una parolaccia! E io?
E io dissi: sono un SOPRANO… e così me la cavai.
Ma davanti a Giulia Ballerini non ho potuto bluffare, e ho ammesso di sentirmi una scrittrice… che cambiamento a distanza di così poco tempo!  

   

martedì 13 marzo 2012

Il potere delle persone-libro

Non ho letto il celeberrimo Fahrenheit 451. Non sono mai stata attratta dalla fantascienza e le mie letture prediligono altre tematiche. Ma amo i libri, i libri di carta (ci tengo a sottolinearlo in questo momento in cui tutti magnificano l’avvento  degli e-book, per i quali non ho alcuna simpatia) e quindi sapevo che, prima o poi, avrei dovuto confrontarmi con l’esperienza promossa  dall’associazione delle “persone-libro”, che appunto dal romanzo di Bradbury trae ispirazione. L’occasione di questo confronto, o forse è meglio dire di questo incontro, mi è stata data dall’8 marzo; alla Biblioteca delle Oblate, a Firenze, le “persone-libro” hanno voluto  celebrare la festa della donna attraverso pagine sul femminile, recitate, o meglio dette, secondo quella che è appunto la filosofia che ispira l’attività dell’associazione, dopo averle imparate a memoria. Nel libro di Bradbury, le persone-libro imparano libri a memoria per salvarli dalla furia distruttiva di un regime totalitario che ha individuato nei libri il maggiore ostacolo al raggiungimento della “felicità”.
E noi, oggi? Perché le persone-libro si mettono ad imparare libri a memoria? E perché organizzano momenti in cui “dicono” ad altri le pagine che hanno memorizzato?


Con queste domande in testa ho camminato per gli spazi della Biblioteca delle Oblate alla ricerca della saletta dove si sarebbe svolta l’iniziativa. Spazi bellissimi, pieni di libri e di persone, tante, intente a leggere, a studiare, a scrivere, a consultare, a pensare. Spazi che mi hanno subito fatto sentire in un mondo a me simile, fatto di parole, e da dove si può osservare, guardando fuori da determinate finestre, una delle opere d’arte più immense della storia dell’uomo, la cupola del Brunelleschi, simbolo di questa città che dall’uomo ha ricevuto così tanto in termini di produzione culturale. E anche a lui, a Brunelleschi, ho rivolto le mie domande: perché, oggi, imparare libri a memoria? E perché ridirli ad altri? E già che c’ero ho buttato là qualche altro interrogativo, di carattere più esistenziale e personale. Ma la cupola ha continuato a risplendere in cielo nella luce azzurra del pomeriggio, con quella sua certa indifferenza un po’ snob, decisamente fiorentina.
Poi ho trovato la saletta e mi sono accomodata.   
Lì una decina di persone-libro, con molta semplicità e immediatezza, per un’ora circa ha proposto pagine di libri imparate a memoria; ho immaginato che fossero pagine a loro care, che avevano smosso qualcosa nel loro intimo nel momento in cui le avevano lette per la prima volta, che erano risuonate in qualche angolo del loro vissuto emotivo e che per questo si sono guadagnate un posto privilegiato nella loro personale classifica delle pagine più amate.
Ho così meditato su come queste persone stessero in realtà mettendo in gioco se stesse. Non si tratta soltanto di imparare libri a memoria per poi ridirli ad altri, si tratta anche di un tributo d’amore a chi con queste parole ci ha emozionato, commosso e forse anche turbato, e al modo in cui queste emozioni ci sono state trasmesse, cioè attraverso la parola scritta, che ha un suo specifico, singolarissimo e insostituibile potere comunicativo. Un tributo d’amore all’atto della lettura, un atto intimo e discreto, un tributo d’amore all’atto della scrittura, che può essere sì un momento di gioiosa espressione di sé ma anche di faticosa confessione, un tributo d’amore all’intelligenza umana che con la scrittura e con la lettura ha storicamente scelto di erigere i pilastri portanti del proprio progresso intellettuale e di civiltà.
Ho immaginato il tempo che le persone-libro hanno impiegato per imparare i loro brani, sicuramente c’è chi ha più facilità e impara in fretta, chi invece ha bisogno di più tempo, le ho viste alle prese con le loro tecniche di memorizzazione, e ho provato un sentimento di grande riconoscenza per il loro impegno apparentemente così gratuito e invece così profondamente motivato: motivato a far si che le persone continuino a pensare, a emozionarsi, a stare insieme nel nome delle parole scritte, lette e anche dette, insomma, a credere nella magia dei libri e nel potere dell’intelligenza creativa.
Sono tornata a casa con un paio di propositi: ritornare alla Biblioteca delle Oblate, per continuare a interrogare Brunelleschi che forse, dalla profondità dei secoli, prima o poi mi risponderà; e leggere Farheneit 451. Chissà, magari diventerò una divoratrice di libri di fantascienza. Potere delle persone-libro!