domenica 3 novembre 2013

N. di Ernesto Ferrero



Ernesto Ferrero
N.

Ho sempre amato Napoleone, di quell’amore che si concepisce sui banchi di scuola quando ci si imbatte in queste personalità storiche eccezionali. Perché? Non so. Sicuramente personaggi come lui destano ammirazione per le capacità strategiche, intellettuali e politiche dimostrate sul palcoscenico della storia, soprattutto a distanza di secoli, quando certi particolari, per esempio il numero esorbitante dei morti delle loro molte battaglie, tendono a passare in secondo piano rispetto ai loro disegni, ai loro progetti, e alle loro realizzazioni. Sicuramente ho amato la sua volontà di pensare in grande, di confrontarsi con la Storia, di agire al di là del giudizio sul proprio operato. Sospetto anche che alla base della mia predilezione per il Corso abbia avuto un certo ruolo la visione, da ragazzina, del film “Désirée”, in cui Napoleone è interpretato da Marlon Brando, attore che adoro da sempre. Infatti se mi devo raffigurare l’immagine di Bonaparte non è tanto ai quadri di David che penso, ma alle inquadrature del bel Marlon con virgolina di capelli sulla fronte e cosce strette in attillati pantaloni bianchi. Il film è del 1954 e a quell’epoca Brando aveva trent’anni, era al culmine della fama – dopo “Il selvaggio” e “Fronte del porto” - e della bellezza…  
Ma non divaghiamo. Lasciamo l’attore e torniamo al personaggio storico, e più
precisamente al romanzo N., scritto da Ernesto Ferrero e dedicato, appunto, a Napoleone. Il romanzo narra dei dieci mesi (maggio 1814 – febbraio 1815) che Napoleone trascorse all’Isola d’Elba, dopo che, sconfitto, ebbe abdicato a favore del figlio. Il trattato di Fontainebleau gli garantiva la sovranità sull’isola, e così poteva continuare a fregiarsi del titolo di Imperatore, anche se di un piccolo paese, con tanti abitanti quanti furono i morti in una soltanto delle sue battaglie (12.000, i francesi caduti a Essling del 1809), lui che aveva regnato su un territorio che si estendeva da Cadice a Mosca.
Nel romanzo si immagina che un notabile erudito dell’isola, Martino Acquabona, sia assunto come bibliotecario dall’Imperatore. Da mite umanista inorridito dagli orrori della guerra, Acquabona considera Bonaparte un mostro sanguinario, e ha concepito nei suoi confronti un odio profondissimo e viscerale. Odio che lo ha portato, nei quindici anni antecedenti l’arrivo di N. sull’isola, a collezionare ossessivamente tutto il collezionabile sull’eccezionale personaggio; volumi, stampe, oggetti recanti il suo ritratto, proclami, memoriali, libelli pro e contro, racconti e pettegolezzi di viaggiatori di passaggio.
Ma adesso che l’Orco – così chiamato dai suoi detrattori per via dell'enorme numero di “enfants” francesi che si era “divorato” nelle sue guerre - è sbarcato sull’isola e ha chiamato Acquabona accanto a sé, quella che era soltanto una figura odiata da lontano diventa protagonista della vita  quotidiana del bonario, ancorché tormentato, bibliotecario, un uomo da osservare da vicino e con cui confrontarsi continuamente. 
Napoleone ha sempre vissuto all’insegna della forza e del potere, mentre per il nostro bibliotecario, al contrario, uomo di lettere dedito allo studio speculativo, la vita è sempre trascorsa placidamente, come occasione di introspezione e meditazione, assolutamente scevra da eccessivi volontarismi. Non si potrebbero insomma immaginare due caratteri, due uomini e due destini più diversi e opposti; l’uomo pacato e quello aggressivo, il debole di fronte al forte, l’uomo di lettere e l’uomo d’azione, l’intelligenza e la sensibilità introversa dell’intelletto contrapposta all’intelligenza e alla perspicacia esuberante dello stratega.  
I due sono attratti l’uno dall’altro, anche se ciascuno a suo modo; Napoleone è soltanto incuriosito da questa figura di erudito taciturno, Acquabona viene lentamente, e suo malgrado, conquistato dall’Imperatore, forse per gli stessi motivi per cui ne sono rimasta conquistata io.  In particolare, sembra colpito dalla “normalità” che risiede nella “eccezionalità”; Napoleone è per molti aspetti un uomo come tutti gli altri, e in fondo è proprio questo che in genere conquista nei personaggi eccellenti, la scoperta del loro essere praticamente come noi; con la conseguenza che anche noi, quindi, potremmo aspirare ad essere eccezionali come loro. E questo ci piace, perché appaga il nostro amor proprio.
A un certo punto, però, la nascente simpatia del bibliotecario nei confronti dell’Imperatore subisce un duro colpo e Martino Acquabona, tornato al suo precedente sentimento di odio, ancor più esacerbato dalle circostanze,  giunge a progettare di ucciderlo. L’elemento attorno al quale ruota tutta la vicenda del rianimarsi del contrasto e della meditata vendetta di Acquabona è l’unico particolare che di questo romanzo mi è piaciuto poco, perché  si tratta di una donna – con cui il bibliotecario ha una sofferta relazione e che l’Imperatore, che presumibilmente non ne sa nulla, si porta a letto senza alcuna difficoltà. In un romanzo così bello e colto,  così stimolante da un punto di vista intellettuale, che ti fa venire voglia di riprendere i libri e di rimetterti a studiare, che ti fa meditare sui destini degli uomini e sul loro incrociarsi con i piani della Storia, avrei preferito che il contrasto tra i due protagonisti si mantenesse esclusivamente sul piano politico e cerebrale, senza che si andassero a scomodare sfere intime come quelle dei rapporti amorosi.
Non vorrei con questo sembrare troppo severa; il romanzo è davvero notevole. Martino non riuscirà ad attuare il suo proposito, e Napoleone scapperà dall’Isola dell’ Elba per andare incontro alla definitiva sconfitta di Waterloo. Resta da chiedersi se per Bonaparte non sarebbe stato meglio, e in certo senso più nobile, morire per mano di un bibliotecario geloso, piuttosto che consumarsi nell’esilio di Sant’Elena… ma dato che il personaggio di Martino Acquabona è di fantasia, l’interrogativo non si pone, e non ci resta che pensare che Napoleone è andato incontro all’unico destino per lui possibile.  

PRIMA FRASE:
Stava seduto al tavolo dello studiolo, di traverso. Sprimacciava con irritazione le carte che il generale Drouot gli aveva passato, il budget del 1815, come se tra quelle si fosse nascosto uno scarabeo o un cerambice, entrato per caso dalla finestra in cerca di tepore.

ULTIMA FRASE:
Mentre nuotavo felice con la mia preda mi è venuta in mente una frase dello zio: “Penso con sgomento che le isole non hanno altro domani che la partenza.”

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