Chitra
Banerjee Divakaruni
LA MAGA DELLE SPEZIE
Tilo
è una vecchia signora indiana che gestisce una bottega di spezie a Oakland, in
California. Tilo è l’abbreviazione di Tilottama, da til, sesamo, che è
il nome che ella stessa si è data; nata in uno sperduto villaggio indiano con
il nome di Nayan Tara, segnata fin dalla nascita dal possesso di doti magiche e
miracolose, ha passato una giovinezza avventurosa prima in compagnia dei
pirati, poi in un’isola misteriosa dominata dall’Antica, o Prima Madre, una ineffabile
creatura che trasforma le ragazze che si recano da lei in maghe delle spezie
per poi inviarle nelle città del mondo a esercitare speciali arti magiche.
Appresa dall’Antica l’arte di mettere a frutto i poteri delle spezie, Tilo si è
gettata nel fuoco di Shampati e, trasformata in vecchia rugosa, si è
risvegliata in America, a Oakland, all’interno del Bazar delle spezie, il suo magico
regno. Qui Tilo vende la cannella per chi ha bisogno di essere preso per mano,
seme di coriandolo per chi vuol vedere chiaro, trigonella contro la discordia,
zenzero per infondere il coraggio necessario a dire no. Davanti al suo bancone
si srotolano le storie di chi si è lasciato l’India alle spalle: Lalita, che
avrebbe voluto fare la sarta ma che è obbligata a fare solo la moglie di Ahuja;
Haroun, con le mani rovinate dal martello pneumatico e dal catrame, che vuol
conoscere quale sarà la sua sorte; Jagiit, il bambino canzonato da tutti i
compagni per la sua mitezza; il nonno di Geeta, arrabbiato con la nipote troppo
americanizzata, che rifiuta l’offerta di matrimonio arrivata dall’India per
fidanzarsi con Juan Cordero, un messicano. E poi Manu, Daksha, Vinod, Kwesi, tutte
anime in pena che cercano di orientarsi nella vita e nel mondo, e cui Tilo
consiglia le spezie più adatte alla loro ricerca. E lei, Maga potente ma un po’ribelle,
cosa sta cercando?
Le
premesse di questo romanzo erano così buone… ma devo confessare che la sua
lettura non mi ha affatto appassionata. Già l’inizio è piuttosto confuso,
indulgendo la narrazione a uno stile puramente evocativo che lascia intuire gli
snodi della trama più che descriverli; e questo, al di là di un mio personale
scarso entusiasmo, può essere anche giusto, trattandosi comunque di una storia
di ambientazione sostanzialmente fantastica.
Poi, però, dopo che la nostra Maga
è
approdata in America, nelle pagine irrompe un deciso realismo, che
alternandosi alla dimensione favolosa dovrebbe probabilmente suggerire il
confronto tra realtà e magia, mondo terreno e sensibilità soprannaturali cui
l’essenza stessa del personaggio della Maga allude. Ma il rapporto tra le due
dimensioni non è reso in modo armonioso, e lo squilibrio pende talvolta da un
lato, talvolta dall’altro, con il risultato che, se l’intento era quello di
evidenziare quanto di magico c’è nella vita di tutti i giorni, lo scopo è del
tutto fallito. I personaggi introdotti hanno destini più che prevedibili e le
loro vicende vanno tutte a finire bene, ma questo è forse dovuto al fatto che
l’uso delle spezie viene associato alla positività e quindi non ci si poteva
certo aspettare che i rimedi della Maga non sortissero gli effetti sperati.
Quanto alla protagonista del racconto, tutte le sue energie si concentrano sulla
storia d’amore con un misterioso americano capitato nel suo negozio e rimasto
ammaliato dal suo sguardo, unica sua caratteristica fisica interessante, dato
che esternamente Tilo è una vecchia rugosa. Questo potrebbe essere un elemento
originale e insolito, ma l’autrice trova il verso di banalizzare anche questo
particolare, dato che la Maga
si trasforma, giusto in tempo, in una donna fisicamente normale, non senza
essersi tolta la soddisfazione di essere, per una notte almeno, assolutamente
bellissima. Tra parentesi, anche del bell’americano, di cui viene puntigliosamente
raccontata la storia dell’infanzia e del rapporto con la madre, non ho capito
molto, non ho capito, cioè, se debba considerarsi una creatura soprannaturale o
meno. Ma forse è un limite mio. La storia termina con un terremoto, lasciando
dietro di sé più di un punto interrogativo. Tra l’altro, nella narrazione fa
capolino anche la tematica del razzismo, ma è uno spunto che resta lì,
irrisolto. Così come irrisolto resta per me questo romanzo.
PRIMA
FRASE:
Io
sono una Maga delle spezie.
ULTIMA
FRASE:
“Andiamo”,
dico a Raven e mano nella mano ci avviamo verso l’automobile.
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