Partecipo,
quest’anno, alla quarta edizione del Festival del Giallo che si svolgerà a
Pistoia dal 31 gennaio al 2 febbraio. Tema del Festival: Gocce scarlatte sul
giallo. Storie di passioni, di tradimenti, di delitti, di amori maledetti. E il
mio intervento, manco a dirlo, riguarderà il mondo del melodramma, che di
passioni, tradimenti e delitti trabocca decisamente…
Opera
buffa a parte, nelle opere i cadaveri abbondano; spesso alla fine della serata
se ne contano più d’uno. E a parte l’esito “luttuoso” delle storie, spesso
intricate, a base di scambi di persone, inseguimenti e raggiri, le trame del
melodramma trasudano di passioni straordinarie e violente, cui i personaggi si
abbandonano fino alle estreme conseguenze. “Io seguo il mio destino”, canta
soavemente Cio cio san poco prima di diventare Madama Butterfly; la sua storia
non è particolarmente intricata – anzi la trama dell’opera è di una linearità
esemplare – però la sua enunciazione potrebbe davvero essere adottata come
sintesi riassuntiva dell’agire di tanti personaggi del melodramma, se non di
tutti. E la parola “destino” rimanda immediatamente ad una delle opere più
rocambolesche della produzione
verdiana, “La forza del destino”, appunto, in
cui il motore della vicenda è rappresentato da un fatto insolito: un colpo
d’arma da fuoco partito accidentalmente! A Don Alvaro, discendente della stirpe
reale degli Incas, fidanzato di Leonora, parte per caso un colpo di pistola,
che colpisce a morte il marchese di Calatrava, padre dell’amata! Don Carlo,
figlio del morto e fratello della ragazza, giura vendetta e insegue Don Alvaro
e la sorella per ogni dove, ma dopo tutta una serie di ricerche, travestimenti,
imboscate e peripezie, nello scontro decisivo con l’uccisore di suo padre ha la
peggio. Prima di esalare l’ultimo respiro si toglie però la soddisfazione di
ammazzare la sorella privandola così della possibilità di godersi finalmente il
suo bel fidanzato meticcio. Tre morti su quattro personaggi, un bilancio niente
male…Bilancio altrettanto sanguinoso per Tosca, opera pucciniana che tra l’
altro è al centro delle vicende gialle del mio romanzo “Ma per fortuna è una
notte di luna – trilogia pucciniana con delitto”, per il quale, appunto, sono
stata invitata a questo Festival. In Tosca, quattro sono i morti che si contano
alla fine dell’opera, tre protagonisti (su tre) e un comprimario. Queste le
vittime, in ordine di sparizione: Angelotti; Scarpia; Mario Cavaradossi; Tosca.
Senza dubbio la morte più spettacolare è quella di Cavaradossi, che, come si
sa, pensa di essere sottoposto ad una falsa fucilazione. Ma il perfido capo
della Polizia, Scarpia, appunto, che giace già cadavere per mano di Tosca,
aveva dato ordine ai suoi uomini che la fucilazione fosse vera più del vero,
altro che simulata. E così il povero Cavaradossi va tranquillo incontro a
quella che crede una recita e si ritrova nientemeno che nell’aldilà, con Tosca
che intanto strepita per il tradimento
atroce subito da Scarpia e che per risolvere definitivamente la questione si
getta dai bastioni di castel Sant’Angelo, sperando di raggiungere quanto prima
il suo Mario, nell’aldilà, appunto... nel mio romanzo ho immaginato che la
finzione si trasformi in realtà, e che il tenore interprete del pittore Mario
Cavaradossi cada realmente ucciso dalla scarica del plotone d’esecuzione, tutto
composto da ignare comparse…ma saranno davvero ignare? Chi ha esploso il colpo
fatale? Chi ha caricato sul serio i fucili generalmente caricati a salve? Ma
questa, rispetto alla Tosca di Puccini, è un’altra storia…
Così
come è un’altra storia quella di Rigoletto, che quanto ad atmosfere noir non ha
nulla da invidiare ai granguignoleschi intrighi di certa letteratura (e d’altra
parte il soggetto del Rigoletto è tratto da Hugo). La storia si svolge a Mantova,
città brumosa dalle atmosfere rarefatte; il Duca, quello per cui “Questa o
quella ecc ecc”, quello per cui “La donna è mobile ecc ecc”, insomma il
libertino dell’opera per antonomasia (anche Don Giovanni è libertino, a dire il
vero, e le ama tutte, purché portino la gonnella; ma come personaggio è più
fine; il suo libertinaggio è più elegante di quello del Duca di Mantova. Ma è
un parere personale), insomma il Duca si è finto povero studente e ha fatto
innamorare si sé l’ignara Gilda, figlia del buffone di corte Rigoletto; i
cortigiani, volendo giocare un perfido tiro a quest’ultimo, rapiscono Gilda
credendola la sua amante, e la consegnano dritta dritta nelle mani del Duca. Il
quale, ovviamente, approfitta delle circostanze. Rigoletto, divorato dalla sete
di vendetta, si rivolge al sicario
Sparafucile (che nome! felicissima intuizione!) che, aiutato dalla sorella
meretrice Maddalena, in una notte di tempesta attira nella sua locanda il Duca
per farlo fuori. Ma, ma, ma… Maddalena convince suo fratello a non uccidere il
Duca che è giovane e bello e ha conquistato anche lei… gli propone di uccidere
al suo posto il primo viandante che bussi alla loro porta… Gilda si traveste da
viandante, bussa alla loro porta… e il gioco è fatto! Quando Rigoletto si rivolge
a Sparafucile perché gli consegni il cavadere del Duca, nel sacco che il
sicario gli dà non c’è affatto quel che Rigoletto si aspetta, ma c’è sua
figlia, agonizzante… che muore così sulle rive del Mincio, tra le braccia di
suo padre, in una notte di tempesta… più noir di così…
E
quante altre trame truculente caratterizzano le opere, dalle più famose alle
meno popolari…
Nel
Tabarro, Michele uccide l’amante della moglie e ne nasconde il cadavere nel
proprio mantello, avvolgendovi poi anche l’ignara consorte, che si troverà
faccia a faccia col morto…nei Pagliacci, opera ambientata nel mondo dei
saltimbanchi, Canio, che ha scoperto che la moglie Nedda lo tradisce, nel corso
di uno spettacolo smette di recitare e inizia a incalzare sul serio la moglie
per scoprire il nome dell’amante, e travolto dall’ira la uccide davvero, sul
palcoscenico, per poi uccidere anche l’amante accorso per soccorrere la donna; “La
commedia è finita”, chiude laconicamente l’assassino, rivolto al pubblico
terrorizzato. E vogliamo parlare di “Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di
Sostakovic, che uccide il suocero mettendo veleno per topi nei funghi che gli
ha cucinato per cena e poi, aiutata dall’amante, uccide anche il marito e ne
nasconde il cadavere in cantina…
Insomma… come dire? Nell’opera lirica non si muore soltanto di tisi…