James Ellroy
L.A. Confidential
Alcune
notazioni preliminari:
1) Faccio parte
di un circolo di lettura dedicato a Jane Austen
2) I miei
scrittori preferiti sono i grandi romanzieri russi dell’ottocento
3) Quest’inverno
mi sono entusiasmata rileggendo Il piacere di D’Annunzio e Le affinità elettive
di Goethe.
Facile
dedurre da queste premesse come L.A.Confidential, a quanto pare uno dei
migliori romanzi noir in circolazione, non rientri esattamente tra le mie
letture consuete, anzi; non ho simpatia per la letteratura americana in
generale, il noir non mi ha mai eccessivamente attratto e anche per la
letteratura gialla d’intrattenimento trovo che un morto ammazzato a romanzo sia
più che sufficiente (mentre nei noir abbondano, o almeno credo). Ho letto
L.A.
Confidential perché da tempo stazionava in casa tra i libri da leggere e perché
per la sua notevole mole mi sembrava adatto come lettura estiva, da ombrellone.
L’approccio è stato difficile. Nella pagina iniziale un personaggio armato fino
ai denti che si presenta sulla scena con dieci chili di eroina e diecimila
dollari di dubbia provenienza viene brutalmente ammazzato non senza avere a sua
volta trucidato almeno cinque o sei persone. La trama si snoda di morto in
morto in un tripudio di schizzi di sangue, pedinamenti, turpiloquio, torture e
violenze di vario tipo, inanellando una serie infinita di personaggi tra minori
e maggiori il cui proliferare ha seriamente rischiato di farmi desistere dalla
lettura, tanto ero confusa. Credo di aver resistito essenzialmente perché i
protagonisti della storia sono poliziotti e la descrizione dell’agire della
polizia americana negli anni cinquanta mi ha molto interessata, oltre che
stupita. In questa storia la differenza tra poliziotti e criminali è davvero
poca, per non dire nulla, e ci sono innumerevoli episodi che mi hanno fatto
seriamente meditare sull’attendibilità di quanto viene narrato. I poliziotti
sono corrotti, violenti, alcolizzati, drogati, frequentano prostitute,
ammazzano e torturano esattamente come i criminali. Se vengono intentati
processi o promosse azioni disciplinari nei confronti di un poliziotto che si è
reso colpevole di qualche reato, spesso è perché un superiore gerarchico arrivista
se non addirittura corrotto approfitta dell’occasione per far fuori chi può in
qualche modo ostacolare la sua ascesa professionale. I poliziotti più che
dall’ideale di garantire la giustizia sembrano animati dalla voglia di menare
le mani contro chiunque turbi il loro concetto di equilibrio sociale e di
ammazzare chi ha commesso qualche delitto particolarmente esecrabile.
Perché
uomini con queste propensioni hanno scelto di lavorare al servizio della legge?
E’ stato solo un caso? E’ forse l’abitudine alla frequentazione di un certo
mondo che finisce per facilitare, per osmosi, l’assimilazione di determinati
comportamenti, in base al famoso detto chi pratica lo zoppo impara a
zoppicare? Certo, dobbiamo anche
pensare al servizio di quale legge si sono posti questi individui. In
una città violenta, in un’epoca violenta e in uno stato violento, in cui vige
la pena di morte, non ci si può certo aspettare una mentalità garantista; resto
comunque stupita dal fatto che un poliziotto che uccide tre evasi – imputati in
attesa di processo, colti di sorpresa e disarmati – sia guardato come un eroe e
venga addirittura promosso! Questa è Los
Angeles, baby, mi risponderebbe probabilmente Ellroy gettando a terra l’ultima
cicca. E dunque non mi è rimasto che accantonare le sdegnate riserve
dettate dalla
mia sensibilità - io così orgogliosa che la pena di morte sia stata abolita in
Toscana fin dal 1786! – e portare in fondo le 500 pagine di questo noir, che,
alla fine, mi ha, a suo modo, appassionata. Sono belli i tre personaggi
protagonisti, poliziotti diversi per indole, storia e motivazioni, che si
trovano a lavorare assieme alla risoluzione di un caso che se ne porta dietro
almeno altri due, in una costruzione logica da giallo classico. E’notevole
anche lo stile, così paratattico, sintetico, efficace. Avvincente la storia, al
centro della quale sta il solito assassino seriale maniaco degenerato così
ricorrente nell’immaginario dei narratori americani - e si spera un po’ meno nella realtà.
Ci
sono comunque varie cose che non mi sono piaciute, oltre alla violenza degli
uomini di legge. Mi è spiaciuto un po’ che il mestiere in assoluto più
ricorrente per le donne che compaiono nel romanzo sia quello di prostituta; e
poi, che dalla storia non venga ricavato, in fondo, nessun messaggio positivo.
Ma,
come forse mi direbbe Ellroy, questa è Los Angeles, baby…
PRIMA
FRASE:
21
febbraio 1950. Un motel abbandonato ai piedi delle colline di San Berdoo. Quando
Buzz Meeks arrivò, aveva con sé novantaquattromila dollari, nove chili d’eroina
pura, un fucile a pompa calibro 12, una 38 special, una 45 automatica e un
coltello a serramanico.
ULTIMA
FRASE:
Ed
le baciò le guance. Lynn salì in auto, alzò i finestrini. Bud appoggiò una mano
sul vetro. Ed vi appoggiò contro la sua dall’altra parte: il suo palmo era la
metà. L’auto si mosse. E si mosse anche lui, di corsa, palmo contro palmo. Una
svolta nel traffico, un colpetto di clacson di saluto.
Stelle
d’oro. Solo con i suoi morti.