Giovedì
20 ottobre 2011
LA GATTARA E LA SUORA
Intercity
delle 8.35 per Milano.
Davanti
a me una donna sui cinquantacinque. Piccola, paffuta. Capelli colore
indefinito, sul castano, divisa su un lato, lisci, appena sulla spalle, poco folti.
Volto senza un filo di trucco, guance rotonde. Maglietta attillata a manica
lunga in lycra a piccola fantasia geometrica sui toni marrone e ruggine, jeans,
scarpe da ginnastica chiare. Accanto a se, un trasportino con dentro un grosso
soriano grigio tigrato.
“E’
allergica?” mi ha chiesto premurosa appena mi sono seduta.
Arrivano
alcuni passeggeri stranieri, sudamericani. La donna ci scambia qualche frase in
spagnolo, li informa che sta andando a Milano. Esce dallo scompartimento
perché, dice, non ha alcun posto prenotato. Si mette seduta su un seggiolino
nel corridoio e lascia sul sedile di fronte al mio il trasportino con il gatto,
che mi guarda sornione dallo sportello aperto. La donna si mette a leggere: Germano
Celant, “Precronistoria 1966-69”. Il
gatto dormicchia, miagola debolmente ogni volta che si verifica un qualche
episodio; transito rumoroso di passeggeri, annuncio diffuso dall’altoparlante.
Di
fianco a me, una suora. Ha un cappotto azzurro in panno con le maniche strette
al polso da un elastico, sotto un abito anch’esso azzurro, in testa un velo
sempre azzurro, però più chiaro.
Capelli
non completamente raccolti nel velo, castani. Sopracciglia piuttosto folte, non
curate, occhi chiari, espressione serena. Noto che, stranamente, somiglia all’altra
donna, solo che dev’essere più giovane; ha la pelle del viso più liscia.
Dormicchia fin quasi a Bologna. Poi prende il cellulare, fa un numero, chiede
“Come stai?”, parla con voce bassa, briga per delle prove di canto, nomina
altre suore da coinvolgere: alcuni brani sono incerti, vanno ripassati. Quando chiude la
conversazione si mette a leggere, concentrata, il libro che fino ad allora
aveva appoggiato al contrario sul tavolinetto di fronte a lei: “Genitori per sempre”, di Valerio
Albisetti, edizioni Paoline, copertina bianca con il disegno di un albero,
tronco marrone e foglie rosse.
All’avvicinarsi
della mia fermata mi alzo e mi metto il cappotto; i sudamericani dormono, la
suora e la gattara leggono, il gatto sonnecchia e socchiude appena un occhio
per osservarmi mentre esco dallo scompartimento.
3
novembre 2011
PASSATO E FUTURO
Treno
delle 18.28 per Pisa.
Davanti
a me. Una donna di mezz’età legge un libro in edizione economica appoggiandolo
sulla borsa che ha sopra le ginocchia: “La
caduta dei templari”, di Jack Whyte. Ha i capelli corti, castano chiaro,
indossa un piumino rosa aperto su un maglioncino leggero viola chiaro, e jeans
scoloriti. Porta un paio di occhiali dalla montatura classica, dorata; ha la
bocca sottile, una fossetta in mezzo al mento. Stringe gli occhi dietro le
lenti, stringe anche le labbra, come a concentrarsi meglio; è talmente
concentrata che corruga la fronte, tra le due sopracciglia si formano due
solchi verticali molto marcati.
Accanto
a lei, un giovane giapponese con una gran testa incorniciata da capelli lisci e
nerissimi, il naso largo e un po’ schiacciato, la pelle delle guance
leggermente butterata. Anche lui con occhiali dalla montatura classica, del
tutto simili a quelli che indossa la donna, ma in metallo anziché color oro. Indossa
un maglione nero con contorni bianchi e un paio di jeans. Ha un giubbotto sportivo blu e rosso
appoggiato sulle ginocchia, e sopra un e-book. E’ contenuto in un astuccio di
pelle color marrone, lui sfoglia le pagine toccando appena lo schermo con il
pollice. Lo schermo è grande abbastanza da far sì che ne possa vedere il
contenuto anche io che siedo di fronte. E’ un fumetto, in bianco e nero. Ogni
pagina contiene quattro vignette, ogni tanto, invece, lo schermo mostra
un'unica grande vignetta che occupa
tutta la pagina e sulla quale il ragazzo pare fermarsi con maggior attenzione.
Quando
scendo, la donna è ancora molto concentrata sul suo libro, mentre il ragazzo ha
iniziato a lasciarsi andare a brevi, sommesse risate.