venerdì 27 gennaio 2012

Lettori in viaggio / 6

Mercoledì 5 ottobre 2011

RAGAZZO DELL’EUROPA
Primo pomeriggio. Treno che da Firenze va a La Spezia. Si siede davanti a me un ragazzo giovane, che appoggia per terra un grande zaino nero. Non ha più di 25 anni. Magro, castano chiaro con riflessi biondi, ciuffo un po’ spettinato e alto sulla testa. Barbetta corta. Pelle del viso un po’ sciupata, con tracce di acne. Indossa una maglietta di cotone bianca a righe scure, con le maniche lunghe e lo scollo a barca, e un paio di pantaloni neri piuttosto vissuti. Il treno non parte. Gli chiedo, dato che è salito dopo di me, se per caso ha visto sul display esterno la segnalazione di un ritardo. Mi dice, in inglese, che non capisce l’italiano. Ripeto la mia domanda in inglese e lui scuote la testa per dire no.
Partiamo, con un decina di minuti di ritardo. Lui estrae dallo zaino un libro: 
Antoine de Saint-Exupéry, “Terre des hommes”.
Si mette a leggerlo, sorreggendo il libro con una mano e la testa con l’altra, il gomito puntato sul bracciolo del seggiolino. Ogni tanto guarda fuori. A Montelupo appoggia la testa di lato sul vetro del finestrino e chiude gli occhi. Si addormenta profondamente, con la bocca socchiusa;  il libro gli cade sullo zaino.

Venerdì 7 ottobre 2011

IL GIOVANE POETA
Treno delle 15.38 da Firenze per Pisa.
Davanti a me un ragazzo giovane, poco più che ventenne. Capelli castano scuri, con attaccatura alta sulla fronte, barba e baffi, una pelle levigatissima e chiara. Volto perfettamente ovale. Mastica un chewin-gum. Ha una camicia a quadri sui toni del celeste, marrone e bianco, indossata aperta sopra una t-shirt. Tiene in grembo un borsello di pelle sciupacchiato con davanti una decorazione a forma di stella. Tira fuori dal borsello un libro, si tratta visibilmente di un volume nuovo di zecca. Lo apre, si mette a leggerlo dalla prima pagina: Rilke, Diario Fiorentino, edizione economica B.U.R. Quando il treno è all’altezza delle Piagge controlla le pagine che mancano per arrivare alla fine del primo capitolo, ci pensa un po’, guarda fuori dal finestrino, poi ricomincia a leggere.

Giovedì 13 ottobre 2011

LA FUMATRICE CON LA FACCIA DA SQUAW
Treno delle 7.16 per Firenze.
Davanti a me, una donna che deve aver passato da poco la trentina, vestita sportiva, maglioncino grigio/azzurro, al collo una sciarpetta multicolore, jeans strappati, scarpe da ginnastica rosse, sulle ginocchia una borsa di tela color senape. Tiene il libro così alto e così vicino agli occhi, che non ne vedo il viso; intravedo che indossa gli occhiali, dalla montatura rossa. Leggo benissimo il titolo del volume: “La malattia: la trappola dell’Eros.” di Gabriella Mereu.  Non ne stacca gli occhi un secondo. Poi, passata Signa, all’improvviso, chiude il libro e lo mette in borsa. Gli occhiali che indossa sono molto spessi, i classici fondi di bottiglia che le deformano i lineamenti del viso ingrandendole parecchio gli occhi; con mossa decisa si toglie anche quelli. Ha una faccia abbronzata, ovale, niente trucco, un naso dritto e sottile, porta i capelli castani e lisci raccolti dietro; pare una squaw indiana. Tra le Piagge e Rifredi estrae dalla borsa una bustina di tabacco e delle cartine e si confeziona una sigaretta, che poi ripone in un piccolo astuccio. In prossimità di Rifredi si alza per prepararsi alla discesa. E’ decisamente robusta.

domenica 15 gennaio 2012

Tra Pratolini e Proust, ovvero buoni propositi per l'anno nuovo

E’ successo la prima volta a Milano, nell’autunno scorso; ingannando il tempo dell’attesa dell’eurostar per Firenze tra gli scaffali della Feltrinelli, alla stazione centrale, mi accorgo quasi per caso che tra le migliaia di volumi presenti in libreria c’è anche il mio, allineato sullo scaffale dei titoli disposti per ordine alfabetico in una posizione che si colloca – come puntualmente indicano due targhette applicate sul bordo della mensola – tra Pratolini e Proust.
Nei giorni seguenti, alla prima occasione vado da Feltrinelli a Firenze, cerco di capire dove sono gli scaffali degli autori per ordine alfabetico, li trovo, e appena scorgo le due targhette Pratolini – Proust controllo se tra i volumi allinenati nello spazio così delimitato emerge la costola violacea del mio romanzo. C’è!
Per le feste natalizie trascorro qualche giorno in Umbria. A Perugia non può mancare una sosta da Feltrinelli e stavolta  - non c’è due senza tre - vado a colpo sicuro: le targhette che indicano la presenza dei volumi di Vasco Pratolini e Marcel Proust mi guidano alla ricerca della Donna che morì bevendo caffè. Che c’è, tra un Metello e una edizione completa della Recherche.
Se non altro, sono in buona compagnia…
Rimugino tra me delle possibili relazioni tra questi tre cognomi. Pratolini viene – in modo abbastanza evidente - da prātum, prāti, col significato di distesa di terreno più o meno coltivato; anche l’etimologia di Preti è di immediata evidenza; Proust è probabilmente una contrazione di Prévost, antico termine che significa “funzionario pubblico”… col fiorentino Pratolini, quindi, posso vantare una comunanza di tipo esclusivamente geografico, mentre con Proust condivido il profilo professionale…
Mi sovviene, però, un’altra suggestione: ma vorrà pur dirmi qualcosa questo accostamento? Cosa ho letto, cosa so di Vasco Pratolini? E di Marcel Proust?
Dell’autore fiorentino  posso dire a colpo sicuro di aver letto cinque romanzi, perché possiedo un volume che li riunisce tutti e so di averlo letto addirittura più volte, da ragazzina: Il quartiere, Cronaca familiare, Cronache di poveri amanti, Le ragazze di San Frediano, Metello. I romanzi sono tutti scritti e pubblicati nella seconda metà degli anni ’40, il volume che ho io risulta pubblicato nel 1982 ed è probabilmente in quell’anno che l’ho letto per la prima volta. Romanzi che ho letto e riletto, quindi, e che ho molto amato; tutti ambientati nella Firenze degli anni del fascismo, della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, (eccetto Metello), dei quali mi è rimasta dentro, struggente, al di là dei dettagli della trama, la raffigurazione di una città che ho sempre frequentato da provinciale; una città grande e piccola nello stesso momento, attraversata da avvenimenti di portata internazionale e nel contempo da vicende piccole, quotidiane. 
I personaggi sono molti, Pratolini ne narra le storie minime, che giorno per giorno si intrecciano per le strade popolari dei quartieri fiorentini; Santa Croce, San Frediano.
Cronache di poveri amanti è ambientato in Via del Corno (dietro Palazzo Vecchio) ed è stato forse il mio preferito. Ci sono dei personaggi memorabili, come i Quattro Angeli Custodi, (le quattro giovanette di Via del Corno), tra le quali Aurora, sedotta dal Nesi carbonaio e in seguito amante del figlio di lui; e poi il ciabattino Staderini, la Signora (una vecchia maitresse che seduta dietro una finestra controlla tutti i minimi  accadimenti di Via del Corno, aiutata dalla cameriera Gesuina), Maciste l’antifascista, Ugo l’ortolano, i fascisti Osvaldo e Carlino.
Il romanzo di cui ricordo meno particolari, invece, è Metello; di quel romanzo mi resta la memoria del tema forte del lavoro e della politica, dall’anarchia al socialismo, e dei personaggi ancora una volta tipicamente pratoliniani, dipinti con molto realismo come poveri diavoli, senza nessun tipo di enfasi né di accento eroico, nemmeno per i protagonisti.
Un primo buon proposito per l’anno nuovo potrebbe essere quello di rileggere Metello. Ma, se ci penso appena un po’ di più, trovo che un proposito ancora migliore potrebbe essere quello di dedicarmi all’altro mio vicino di scaffale, e leggere Proust… perché si, lo ammetto, io, della Recherche, non ho letto nulla, nemmeno il primo volume.
So, come sanno tutti, che la Ricerca del tempo perduto è composta da sette volumi, che il primo si intitola Dalla parte di Swann, che inizia con la celeberrima frase “A lungo, mi sono coricato di buonora”, e che a un certo punto il protagonista mangia un particolare biscottino – una  madeleine – che gli riporta alla memoria (il meccanismo della memoria involontaria…) ricordi di un tempo lontano. Si, ma non so nient’altro, e questa lacuna mi appare improvvisamente un po’ grave. Insomma, è giunto il momento di porre rimedio a questa ignoranza, e quale migliore momento se non l’inizio dell’anno nuovo, quando si è animati dai migliori propositi e si è pieni di energia?
E ecco che sul mio comodino se ne stanno già, in fiduciosa attesa, i libri che mi aspettano in questo 2012: la Recherche, nei volumi dei Meridiani Mondadori, traduzione di Giovanni Raboni. E accanto, non si sa mai, Metello … nel caso l’altro buon proposito venisse meno…

martedì 3 gennaio 2012

Le interviste impossibili / Oscar Wilde

CRISTINA PRETI: Buongiorno, che onore per me incontrarla! Ma sa che lei è stato l’autore preferito della mia prima adolescenza?  Pensi, e non so se questa notizia le farà piacere, che ho chiamato il mio primo gatto Oscar, in suo onore!
OSCAR WILDE: (…) (tace, con una faccia che pare annoiata. Sta pigramente sorseggiando una tazza di tè.)
C.P.… la lettura del Ritratto di Dorian Gray è stata un’esperienza fondamentale… ero una ragazzina… e poi le dirò, un’altra sua opera che ho amato tantissimo è Il fantasma di Canterville... mi avevano regalato un libro che comprendeva diversi suoi racconti, oltre al Fantasma c’erano Il principe felice, Il gigante egoista… ah, ma il Fantasma era il mio preferito, e lo rimane tuttora!
O.W. (continua a tacere e a sorseggiare il suo tè. Ci inzuppa lentamente un biscottino al burro.)
C.P. … quindi non può immaginare che onore sia per me essere adesso qui con lei, addirittura parlarle… ma sa che in un certo periodo della mia vita avevo preso il vizio di utilizzare la buffa espressione “bunbureggiare” che compare nel suo L’importanza di chiamarsi Ernesto… tra l’altro, come immagino saprà, questo titolo in italiano viene reso talvolta anche con L’importanza di essere Probo, oppure con L’importanza di essere Franco, o anche  L’importanza di essere Onesto, nel tentativo di riprodurre il gioco di parole dell’originale titolo inglese… solo che in italiano certi concetti evidentemente non si rendono bene nemmeno per gioco… ah ah ah!
O.W. (…) (tace ancora, masticando lentamente il suo biscotto.)
C.P. (…) (Lo guarda interrogativa.)
O.W. (Finalmente apre bocca.) Solo gli ottusi sono brillanti la mattina a colazione.
C.P.… ma… io non avevo affatto intenzione di fare la brillante, sa… il mio è un modo come un altro per avviare la conversazione…
O.W. La conversazione dovrebbe sfiorare tutto, senza mai concentrarsi su niente.
C.P. E infatti io volevo soltanto avviarla… anche se, in effetti,  non mi piacciono le chiacchiere varie e futili… preferisco scambiare con gli altri opinioni precise su argomenti determinati, sarà perché sono una donna e…
O.W. Le donne non hanno mai niente da dire, ma lo sanno dire così bene.
C.P. Questa poi! Niente da dire? Ma… ora non voglio vantarmi di essere una grande conversatrice, però le assicuro che nel mio piccolo ho una certa cultura e sono in grado di affrontare conversazioni su svariati argomenti. Lo sa che per ottenere la mia laurea ho dovuto sostenere e superare ventuno esami, di cui due composti di prova scritta e prova orale?
O.W. Agli esami gli sciocchi fanno le domande a cui i saggi non sanno rispondere.
C.P. Ah si? Avrei voluto vedere lei al posto mio! E lo sa quanti concorsi ho dovuto affrontare per raggiungere la mia posizione professionale?
O.W. Tutti i concorsi sono una buffonata. Se uno è gentiluomo, ne sa quanto gli basta; se uno non lo è, tutto ciò che sa non può che danneggiarlo.
C.P. Insomma lei ha delle idee preconcette e non credo che andremo molto avanti continuando su questa linea.
O.W. (Tace e continua a sorseggiare il suo tè.)
C.P. (tra sé e sé) Che tipo indisponente. Vabbè, io proseguo. Chi la dura, la vince. (rivolta a O.W.) Veniamo al dunque. Sono venuta da lei per parlarle del mio primo romanzo, “La donna che morì bevendo caffè”… una storia che parla del rapporto tra genitori e figli, in particolare tra una madre e suo figlio maggiore…
O.W. I figli da piccoli amano i genitori. Una volta cresciuti li giudicano. Raramente, per non dire mai, li perdonano.
C.P.… è esattamente questo l’argomento centrale del mio romanzo… lei… forse lo ha letto? Oh Dio che emozione! E… mi dica, le è piaciuto? Beh, certo non è proprio una storia divertente, anzi direi che il tono generale è abbastanza triste, e il finale, poi…
O.W. Non mi piacciono i romanzi a lieto fine: sono troppo deprimenti. I buoni finiscono bene e i cattivi finiscono male. 
C.P. Beh, il mio non può certo definirsi un romanzo a lieto fine, se lo ha letto sarà d’accordo con me…mi piaceva l’idea di scrivere la storia di una donna dalla doppia morale, e anche il mio romanzo può considerarsi morale, in un certo senso…
O.W. Non esistono libri morali o immorali. I libri o sono scritti bene o sono scritti male. Questo è tutto.
C.P. E… visto che, a quel che ho capito, ha letto il mio romanzo… che ne dice? E’ scritto bene o è scritto male?
O.W. Chiunque può scrivere un romanzo in tre volumi: ciò richiede semplicemente una totale ignoranza della vita e della letteratura.
C.P. Tre volumi? … ma il mio romanzo non è in tre volumi! Vuol forse insinuare che è un po’ lungo? E poi… che significa totale ignoranza della vita e della letteratura? Non voglio certo passare per una profonda conoscitrice della letteratura, anche se a dire il vero qualcosa conosco… ma sentirmi dire che sono ignorante anche della vita…
O.W. Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, e nulla più.
C.P. Le assicuro che i miei anni li ho vissuti tutti, uno per uno! Ne ho passate tante!
O.W. L’esperienza non ha alcun valore etico: è semplicemente il nome che gli uomini danno ai propri errori.
C.P. Ma caro signore, lei emette sentenze con una tale facilità… io non credo di aver fatto molti errori nella vita… e quindi, secondo quel che ha detto lei, avrei accumulato poca esperienza. Meglio così, vuol dire che sono ancora giovane!
O.W. Il segreto per rimanere giovani sta nell’avere una sregolata passione per il piacere.
C.P. Non sono d’accordo. Io credo che, giovani o non giovani, ognuno di noi abbia innanzitutto dei doveri e…
O.W. Il primo dovere di una donna è verso la sua sarta. Quale sia il secondo, nessuno lo ha ancora scoperto.   
C.P. Mi spiace per lei, ma io non mi servo di sarte, compro abiti già confezionati! Ci mancherebbe, al giorno d’oggi…
O.W. Niente è così pericoloso quanto l’essere troppo moderni. Si corre il rischio di diventare improvvisamente fuori moda.
C.P. Ma cosa vorrebbe dire, che io sono fuori moda?
O.W. Con lo scenario adatto, le donne possono tutto.
C.P. Scenario? Ma cosa c’entra?
O.W. Dopo un buon pranzo si può perdonare chiunque, perfino i nostri parenti.
C.P. Questa poi!
O.W. Il passato ha un unico merito: quello di essere passato.
C.P. Eh?
O.W. Sono solo i superficiali a non giudicare dalle apparenze.
C.P. Ho capito, ho capito. Parlare con lei è impossibile. Me ne vado.
O.W. Niente può curare l’anima se non i sensi, così come niente può curare i sensi se non lo spirito.
C.P. La saluto. Vado via!!
O.W. (resta solo e termina il suo tè, continuando a mormorare tra sé.)
Basta migliorare una persona, per rovinarla… Oggigiorno si conosce il prezzo di tutto, e il valore di niente… L’ambizione è l’ultimo rifugio del fallito … Posso resistere a tutto, fuorchè alle tentazioni…