martedì 12 marzo 2013

Lettori in viaggio / 9



15 novembre 2011
Treno delle 17.10 da Firenze per Siena.
IL CAMPAGNOLO

Mi siedo davanti a un signore che per aspetto e abbigliamento richiama la campagna. Capelli castani un po’ arruffati, pelle del viso rossastra, tratti del viso marcati. E’ magro. Abbigliamento casual-sportivo tutto sui toni del marrone, curato e ben abbinato: camicia color senape chiaro di velluto a costine, gilet beige, pantalone di vigogna marrone chiaro, stivaletti marroni con zip laterale. Appesa al gancio di fianco al suo seggiolino, una giacca di pelle marrone.
E’ a telefono, dice:
“Arrivo a Poggibonsi verso le sei e un quarto.”
All’anulare della sinistra, noto la fede nuziale.
Finalmente capisco chi mi rammenta: Nemorino, l'ingenuo giovane campagnolo protagonista dell’Elisir d’amore di Donizetti.
Chiude il cellulare, nelle sue mani compare, tirato fuori non so da dove, un volumetto. Mi accorgo che è un quaderno con la copertina rigida cartonata color nero. Si mette a leggere, le pagine sono manoscritte, con una grafia che sembra regolare, ordinata e dritta pur nell’assenza di righe o quadretti. Un diario? La stesura di un romanzo, di un racconto? L’ha scritto lui? L’ha scritto qualcun altro? Legge con attenzione, guardando ogni tanto fuori dal finestrino, pensoso. Mi viene in mente una delle icastiche frasi di Oscar Wilde: “Non viaggio mai senza il mio diario. Si dovrebbe sempre avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno” .


18 novembre 2011
Treno delle 7.53 per Firenze.
LA PENSOSA RAFFREDDATA
 
A Signa sale una donna sui trentacinque, carina, bionda, con i capelli appuntati in un corto codino. E’ magra, occhiali dalla montatura rossa, visino pallido, struccato, liscio. Un piumino imbottito, sciarpa grigia al collo, jeans attillati e infilati in un paio di stivali vistosi, di vernice nera.  Ha a tracolla una grossa borsa viola, in mano un sacchetto di carta verde. Si siede mormorando: Che freddo. Estrae dal sacchetto verde un libro dalla copertina arancione, che sembra piuttosto vissuto: “Un indovino mi disse”, di Tiziano Terzani. Forse glielo hanno prestato, perché a dispetto dell’aspetto vissuto lo apre a poche pagine dall’inizio. Si interrompe quasi subito, per estrarre da una tasca un fazzoletto e tamponarsi il naso. Riprende la lettura, ma dopo pochi minuti, di nuovo chiude il libro e estrae il fazzoletto per asciugarsi il naso, con un movimento gentile, elegante. Lascia il libro chiuso appoggiato in grembo, le mani sopra, una guantata e una no; lo sguardo perso verso un punto imprecisato della carrozza. Ogni tanto si guarda  la mano nuda. A Rifredi rimette il lbro nel sacchetto, e aspetta che il treno arrivi a destinazione, lo sguardo vuoto che si fissa ora qua, ora là.

Nessun commento:

Posta un commento