Presentando
il mio romanzo “Ma per fortuna è una notte di luna” arriva sempre il momento in
cui devo parlare dell’ispirazione che mi ha portato a scrivere di un delitto
perpetrato sul palcoscenico. Nell’ultima parte del mio libro, infatti, il
tenore che interpreta Mario Cavaradossi nella scena della fucilazione che
chiude la Tosca
cade realmente assassinato. Per chi ha un po’ di dimestichezza con certa
filmografia è abbastanza immediato ricollegare
questo episodio ad uno pressoché identico narrato in una pellicola del 1955 di Robert
Z. Leonard, intitolata “La donna più bella del mondo” e interpretata da Gina
Lollobrigida e Vittorio Gassman, entrambi giovani e bellissimi. L’ispirazione
è talmente palese che ne faccio aperta confessione nel romanzo stesso, quando
il dottor Magro, dirigente del Commissariato di Viareggio chiamato a indagare
sull’omicidio del tenore, su consiglio di un anziano melomane infila il dvd nel
suo computer e coscienziosamente se lo guarda tutto.
Ho
visto questo film alla televisione, da bambina, insieme a mia madre,
appassionata d’opera e di vecchi film sentimentali. E’ la storia romanzata
della vita di Lina Cavalieri, famosa soprano vissuta a cavallo tra otto e
novecento. La protagonista è, appunto, la Lollobrigida; Gassman interpreta il principe russo che, alla fine di una serie di peripezie, si unisce a Lina nel classico "happy end". A un certo punto del film la Cavalieri, impegnata in una produzione di
Tosca, è amata sia dal tenore
protagonista che dal direttore d’orchestra; quest’ultimo, deciso ad avere la
meglio sul rivale, costi quel che costi, ne organizza l’omicidio approfittando
della scena della fucilazione che chiude l’opera. Ecco che un sicario si
nasconde tra le quinte e, al momento in cui le comparse puntano i loro fucili
sullo sventurato tenore, spara colpi veri e lo uccide. Tosca, come da copione,
si avvicina al corpo esanime, cantando le sue battute; poi si accorge che
l’uomo è morto sul serio, e non per finta, e grida il suo orrore. Sul
palcoscenico giace un morto vero; così come Cavaradossi, che nella trama
dell’opera credeva di sottoporsi ad una finta fucilazione, per effetto della
malvagità senza attenuanti di Scarpia muore davvero. Questa specie di corto
circuito tra realtà e finzione colpì in modo potente la mia fantasia di bambina,
e non a caso nel momento in cui mi sono trovata ad immaginare un delitto nel
mondo del teatro d’opera tra le mille storie possibili – un direttore
d’orchestra ucciso in camerino, un soprano pugnalato in sala trucco, un tenore
rinvenuto cadavere nell’attrezzeria - ho
pensato proprio alla situazione del film.
L’episodio
narrato nella pellicola di Leonard è frutto dell’immaginazione degli
sceneggiatori; il tono del film è molto romanzesco e la vita di Lina Cavalieri
viene ricostruita senza rinunciare a nessuno degli stereotipi che dipingono i
cantanti lirici come soggetti provenienti da famiglie modeste ma dotati di una
voce prodigiosa che, ascoltata per caso dall’impresario di turno, li trasforma
da individui poveri e miserabili in star di prima grandezza. Al di là dello
stereotipo, per Lina Cavalieri le cose andarono in effetti così, e la sua vita
è davvero abbastanza romanzesca.
Questa
cantante era nata a Viterbo, “la vigilia di Natal” del 1874, ma a pochi giorni
dalla nascita i suoi si trasferirono a Roma, in Trastevere, dove fu battezzata,
nella chiesa di Santa Maria. Di famiglia modesta, fece la fioraia e la
piegatrice di giornali; scoperto il suo talento per il canto, la sua bellezza
sfolgorante e i modi da gran dama la misero in evidenza trasformandola in breve
nella regina dei café chantant romani, per poi lanciarla come protagonista dei
palcoscenici di varietà d’Italia e d’Europa: Napoli, Milano e poi le
Folies-Bergères a Parigi, l’Empire a Londra, l’English Garden a Vienna. Entrò
in diretta competizione con la Bella Otero,
sulla quale, se dobbiamo credere al giudizio espresso nientemeno che da Gabriele
D’Annunzio, ebbe la meglio, dal momento che il Vate, nel 1899, dedicandole una
copia del suo romanzo “Il piacere” la definì “la massima testimonianza di
Venere in terra”. Il café chantant le andava ormai stretto, e nel 1900 debuttò
come cantante lirica in una Bohème andata in scena al Teatro San Carlo
di Napoli. Pare che come soprano non avesse doti particolari. Piero Mioli
scrive di lei: … con voce piccola ma gradevole ha cantato la Nedda dei Pagliacci di
Leoncavallo, le due Manon, Violetta, Fedora. Repertorio ottocentesco italiano e verista,
quindi; possiamo immaginare che, se la voce non era granché, la cantante mettesse
a frutto soprattutto le proprie doti sceniche. Il pubblico accorreva in massa
per applaudirla, ammaliato dalla sua bellezza, dalle sontuose acconciature, dal
portamento sensuale. Fece scalpore l’appassionato bacio scambiato con Enrico
Caruso al Metropolitan di New York, al termine del duetto d’amore della Fedora;
da allora negli Stati Uniti la
Cavalieri fu ribattezzata “The kissing primadonna”.
Ebbe
una vita sentimentale piuttosto movimentata; si sposò quattro volte. Primo
marito: un principe russo, Aleksandr Bariatinsky, conosciuto durante un
soggiorno a San Pietroburgo. Si tratta, evidentemente, del principe del
“nostro” film. Qui la loro storia d’amore ha il tono zuccheroso delle avventure
che finiscono con il fatidico “e vissero felici e contenti”, ma nella realtà il
legame tra i due si spezzò ben presto. Secondo marito: il milionario Robert
Winthrop Chanler, sposato nel 1908, da cui la capricciosa cantante si separò
dopo appena 8 giorni. Terzo marito: il tenore francese Lucien Muratore, sposato
nel 1913, dal quale Lina ebbe una figlia, Elena. Quarto marito: il pilota
automobilistico Giuseppe Campari, ma anche in questo caso si trattò di un
matrimonio di breve durata.
Oltre
ai quattro mariti, parecchie altre storie sentimentali, tutte burrascose: con
l’industriale Davide Campari, che la
seguiva in tournée approfittandone per pubblicizzare il suo aperitivo, con il
re del Kazan, che voleva sposarla a patto che abbandonasse le scene, con i
cantanti Mattia Battistini e Tito Schipa, e persino con Guglielmo Marconi.
Infine
si legò, più che sessantenne, al suo impresario Arnaldo Pavoni, con il quale
trascorse gli ultimi anni tra la villa della Cappuccina a Rieti e una villa a
Fiesole. Il 6 marzo 1944, durante un attacco aereo su Firenze, una bomba
distrusse la villa, seppellendo Lina sotto le macerie insieme a Pavoni e alla
cameriera. Scoprendo quest’ultimo particolare – che non conoscevo – non ho
potuto fare a meno di pensare che pochi giorni prima, nel febbraio 1944, e poco
lontano, nel Comune di Vinci, nasceva mia madre, proprio mentre gli alleati
bombardavano Prato. Chissà che la piccola anima che scendeva sulla terra e l’altra
che saliva al cielo non si siano incrociate brevemente, in qualche recondito
anfratto celeste, al sicuro dalle bombe di guerra, e si siano scambiate un
rapido saluto.
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