PENDOLARE
AL QUADRATO
All’Eremo di Montecastello (700 m. a
picco sul Lago di Garda) partecipo nel giugno 2012 a un seminario residenziale con
la filosofa Francesca Rigotti: “Creatività e minimi sistemi”. Tre giorni di
filosofia, di lago, di natura, di compagnia insolita, e di una me stessa
diversa.
Mi
ero ripromessa di prepararmi per questo seminario, leggendo i libri che erano
stati consigliati, se non proprio tutti almeno quelli scritti dalla docente.
Invece arrivo trafelata al giorno della partenza ed è con
soltanto un paio di minuti di anticipo che metto piede sul treno che mi porterà
a Brescia; stavo per perderlo.
Questo
per dire che quando affrontiamo il primo degli incontri previsti - La
sapienza del pendolo che molte cose conosce oscillando qua e là – non so
nemmeno di cosa parleremo; immagino confusamente che il discorso toccherà forse
Galileo e l’isocronia del pendolo, ma oltre
non vado.
Invece
tutta l’argomentazione prende una piega inaspettata. Il fenomeno del pendolo viene
trattato come metafora esperienziale umana; la sapienza del pendolo deriva dal
suo sperimentare dimensioni estreme e opposte così come dall’avere un punto di
vista alto e inamovibile e uno basso e in costante movimento; si parla di nomadismo,
migrazioni, finito e infinito, dell’esperienza che si trasforma in conoscenza,
del sapere statico e granitico cui si contrappone un sapere caratterizzato
dalla flessibilità.
E
via via che la docente parla mi accorgo che – meraviglia delle meraviglie – si
parla di me! Si, proprio di me stessa! Nel senso che anche io vivo un modello
particolarmente complicato di pendolarismo, che non so come definire e che
decido di denominare, per adesso, un pendolarismo misto, con una sua
manifestazione interna, e una esterna.
Ch’io
sia protagonista di un moto pendolare nessuno può certo negarlo, dato che ormai
da anni ogni giorno alle sette del mattino (più o meno) salgo sul treno per
recarmi in ufficio, a Firenze, e da lì me ne riparto a orari variabili del
pomeriggio (a seconda della durata della mia giornata di lavoro) per tornarmene
a casa, a Empoli. In questa specifica raffigurazione di pendolarismo, il punto
fermo, il “gancio”, è costituito dal mio datore di lavoro, il filo rappresenta
la mia necessità di garantirmi uno stipendio, io, infine, mi identifico nel
peso. Come diceva Michelstaedter, “Un peso pende (…), quant’è peso pende e
quanto pende dipende”…Più chiaro di così…
Ed
ecco che nel mio moto pendolare io mi sposto quotidianamente in due realtà fisiche
diverse, e sono anche due persone diverse. Quando mi colloco nella mia città interpreto
la mia dimensione di base, quella di Cristina come persona privata, che vive in un
determinato contesto familiare e amicale, dedita ad attività inerenti la sfera
degli affetti e delle relazioni intime e private. Qui elaboro una conoscenza
esperienziale principalmente emotiva e sentimentale, qui mi sento protetta, qui
mi rifugio, qui mi riposo.
A
Firenze, chiaramente, interpreto un altro personaggio, inserito in una dimensione del tutto pubblica, quello di me stessa come professionista, al
centro di relazioni impostate su altri tipi di presupposti, tutti riconducili,
in buona sostanza, all’ambito performativo. Qui mi dedico al lavoro, progetto,
elaboro, discuto anche, qui mi sento sempre messa alla prova. Firenze è il
luogo del confronto, della sfida, del giudizio.
Sono
diversa io e sono diverse le due città che accolgono i miei moti di andata e
ritorno: l’una cittadina provinciale dai ritmi sonnacchiosi e privi di
scossoni, l’altra città-cartolina dalla storia sfolgorante, crocevia dei
fremiti e delle contraddizioni tipiche degli aggregati urbani della
contemporaneità. E dal mix di intrecci tra città, stili e
personalità nasce una mia personale forma di elaborazione di conoscenza… la
conoscenza pendolare, appunto…
L’altra
mia forma di pendolarismo non si esplica in uno spazio esterno, ma interno a me
stessa e riguarda una attitudine che, essendo tipica del segno zodiacale cui
appartengo, si spiega facilmente, appunto, con riferimento all’oroscopo:
essendo nata il 17 giugno, appartengo al segno dei gemelli. Come ognun sa
Castore e Polluce, i Dioscuri, figli di Giove e di Leda, pur essendo gemelli
differivano in un particolare direi di notevole importanza: a causa di un cervellotico
intreccio di quelli che soltanto la mitologia greca sapeva concepire, e che non
mi metto a spiegare, Polluce era immortale, Castore, al contrario, mortale. Come
tutti i gemelli, i Dioscuri erano affezionatissimi l’uno all’altro e quando, al
termine di una loro rocambolesca avventura, Castore fu ferito a morte, il
fratello si rivolse implorante al loro padre, Zeus, perché facesse morire anche
lui, oppure concedesse l’immortalità anche al gemello morente. Zeus esaudì a
modo suo la preghiera del figlio; decise di ricongiungere i due gemelli
permettendo loro di stare insieme per sempre, trascorrendo metà del tempo agli
Inferi, l’altra metà con gli Dei, sul Monte Olimpo. Ed ecco che io, da buona
gemelli, passo metà del mio tempo agli Inferi, l’altra metà sull’Olimpo…o
meglio, adattando il mito alle mie personali esigenze, metà tempo in terra,
l’altra metà in cielo… alternando in modo equo le due facce della mia
personalità, l’una assolutamente razionale, calcolatrice e logica, l’altra
artistica, sregolata e fantasiosa… e giungendo quindi ad una conoscenza davvero
multiforme… non è una forma di pendolarismo anche questa?
E
considerando che a questa forma di pendolarismo “interna” io affianco l’altra,
quella “esterna”, non posso forse affermare orgogliosamente di essere una
pendolare al quadrato? … da questa considerazione deduco che stavolta ci ho
decisamente azzeccato, e che questo è proprio il seminario che fa per me…
Francesca Rigotti, Il pensiero
pendolare, Il Mulino 2006
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