martedì 11 ottobre 2011

Le interviste impossibili / Charles Bukowski

Cristina Preti: Buon giorno…
Charles Bukowski: Hmmm (grugnito)
C.P.: Buon giorno! (forse non mi ha sentito)
C.B.: Hmmm… hmmm… chi è che rompe a quest’ora?
C.P.: Ma…e’ quasi mezzogiorno. La sua segretaria mi aveva detto…
CB: Chi? La mia segretaria? Non ascolti quella baldracca. Non sa quel che dice.
C.P.: Ma io pensavo che… l’avesse avvertito… che le avesse messo l’appuntamento in agenda.
C.B.: Cosa? Agenda? Non mi venga a scassare con questi concetti difficili… mi sono appena svegliato e ho un mal di testa colossale. La segretaria. Quella vacca devo licenziarla prima possibile.
C.P.: Cosa faccio allora? Vado via?
C.B.: Ma no, venga, si sieda. Facciamoci un goccetto.
C.P.: Cosa? Un goccetto? Non vorrei sembrarle scortese, ma… a quest’ora io di solito non bevo…
C.B.: A quest’ora, a quest’ora… che stupido concetto borghese. Cosa le dice il suo corpo? Non le dice forse che ci starebbe proprio bene un bicchierino di whisky? E allora lasci perdere l’orologio! Quest’ora, quell’altra… un goccetto va sempre bene.
C.P.: Mi scuso di nuovo, ma non posso proprio accettare. A parte l’orario, i superalcolici mi fanno male, ho il colesterolo alto e il medico dice che…
C.B.: Gesù, chiuda quella bocca! Quando sento parlare di medici mi viene da vomitare. Senta, faccia un po’ come vuole, io mi faccio un whisky. Quanto a lei, se vuole favorire, il mobile bar è lì. Si serva da sola.
C.P.: Bè, lasciamo perdere. Tanto non è che fossi venuta per bere.
C.B.. (si scola il whisky che si è appena versato) Ah! Adesso sì che si comincia a ragionare! (Torna a guardarmi) Non è venuta per bere? E allora che cosa vuole?
C.P: Bè, non è facile da spiegare… è che … insomma… so che lei è stato impiegato in un ufficio postale… volevo sapere come… come faceva a … insomma, lei è uno scrittore così famoso, mi interesserebbe sapere come è stato capace di… Vede… io… Bè anche io scrivo. Però non è il mio mestiere, nel senso che per guadagnarmi da vivere faccio altro… lavoro in pubblica amministrazione. E appunto ero curiosa di sapere da lei come ha fatto a…
C.B: Si, si, ho capito… scrittura e lavoro… guardi, dopo queste parole non mi resta che farmi un altro bicchiere. (si versa ancora whisky, lo beve d’un fiato). Dunque, signorina, lo ha letto  il mio romanzo Post Office?
C.P.: Mi spiace confessarglielo, ma… non è che il suo genere rientri proprio tra i miei preferiti e quindi…
C.B.: Mi pareva, infatti. Lei è una tipa troppo per benino. E quindi non lo ha letto. Peggio per lei. Non mi frega proprio nulla.
C.P. Ma… perché mi chiede se ho letto Post Office?
C.B. Perché così capirebbe tante cose.
C.P. Cioè potrei capire come ha fatto a conciliare lavoro e …
C.B. Ah ah ah! (ride così forte che devo zittirmi. Gli va qualcosa di traverso e si mette a tossire come un cane incimurrito. Tossisce talmente forte che diventa tutto rosso, sembra stia per soffocare.  Sputa. Tossisce. Ride. Tossisce ancora.) Ah ah ah… Conciliare… com’è che ha detto? Quant’è carina lei. Dia retta, legga Post Office e capirà tante cose.
C.P. Capirò come è riuscito a…?
C.B. Certo. Lo capirà benissimo. Ma non si tratta tanto di conciliare lavoro e scrittura… (ride di nuovo, però, stavolta, brevemente.) Ma lavoro e vita. Il lavoro è nemico giurato della vita. Della vita vera, intendo, della vita dedicata alle cose che ci piacciono. Per me, bere e… bè, davanti a una signorina così per bene non posso esprimermi come vorrei. Diciamo bere e star dietro alle donne. E per quanto riguarda lei…
C.P.: Per me scrivere, decisamente. L’ho capito da poco, ma è così. Vorrei soprattutto scrivere. Ma devo lavorare e non sempre trovo il tempo per …
C.B. Guardi, le consiglio di nuovo: legga Post Office.
C.P.: E lì troverò quali erano i suoi trucchi.
C.B.: Come no! Troverà i miei trucchi. Ah ah ah! Io lavoravo meno possibile.
C.P.: Cosa?
C.B.: Certo. Proprio così. Bevevo continuamente e mi presentavo al lavoro sempre ubriaco. Spesso arrivavo in ritardo. Certe volte invece di lavorare andavo in giro per i fatti miei. E se proprio non ce la facevo, me ne stavo a casa, a smaltire la sbornia e a ubriacarmi di nuovo.
C.P.: Eh ma io… io non potrei di certo comportarmi così. Io al lavoro ci devo andare, eccome… e poi adesso, figuriamoci, con il Ministro per la Pubblica Amministrazione che ci ritroviamo… al minimo sgarro …
C.B.: Ma se ha così paura non combinerà mai nulla.
C.P.: Vorrei vedere lei. Non si tratta di aver paura, si tratta di aver bisogno di mantenersi un lavoro. Non posso mica rischiare di beccarmi una nota disciplinare per…
C.B.: Ma sa quante ne ho prese, io, di note disciplinari?
C.P. …
C.B.: Parecchie. E infatti alla fine mi hanno licenziato.
C.P.: Ah si?
C.B.: Certo che si.
C.P.: Temo che i suoi consigli, allora, non mi siano di grande aiuto.
C.B.: Temo anche io, se quel che vuole è conservare il posto di lavoro. Vada da Trollope, che era un impiegato postale modello… o da Kafka, che faceva l’assicuratore. Qualcuno così. La mia esperienza non le servirà proprio a nulla.  
C.P.: Mi scuso… io pensavo che…
C.B. Ah ah ah! (ride sguaiato, si versa altro whisky e lo beve.) Vada, vada. E legga Post Office.
C.P. Allora arrivederci. Spero che anche lei abbia modo di leggere il mio romanzo…
C.B.: Ah, quindi ha già pubblicato un romanzo! E come si intitola?
C.P.: “La donna che morì bevendo caffè.”
C.B.:Ah ah ah! (ride, e la risata diventa talmente violenta che quasi lo soffoca. E’ tutto rosso. Sputa, tossisce. Gli occhi gli lagrimano.)… bevendo caffè… che ridicolezza… bevendo… caffè…

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