Per lavoro sono entrata in contatto con l' ONDS,
Osservatorio nazionale sul disagio e la solidarietà nelle Stazioni italiane, che
affronta il fenomeno dell'emarginazione sociale e delle povertà estreme nelle
aree ferroviarie. L'ONDS, con la cooperativa sociale Europeconsulting, si
occupa, tra l’altro, dell'Help Center presente al binario 1 della Stazione Roma
Termini, del Centro Diurno “Binario 95” presente nella medesima Stazione, e del
giornale “Shaker - pensieri senza
dimora” che ha recentemente curato e dato alle stampe “Storie di altri
passeggeri”, una interessante raccolta di interviste. Interviste a
chi?
Personaggi famosi, vip, calciatori, veline? Ovviamente, no, niente di tutto
questo. Gli intervistati sono gli esponenti di quella umanità marginale,
miserabile e scomoda che gravita attorno alle stazioni; nello specifico, che
gravita attorno alla stazione di Roma Termini. Sono pendolare e il treno lo
prendo tutti i giorni, due volte al giorno; per lavoro mi capita spesso di
spostarmi in treno in altre città, toscane e non toscane, e quindi di stazioni
ne vedo e ne frequento tante, e spesso. Di conseguenza, ho ben presente di cosa
si parli. O meglio, conosco per esperienza diretta gli aspetti esteriori del
fenomeno; che, se devo basarmi sulla mia personale percezione, mi pare
aumentato in questi ultimi anni, con la presenza di tanti stranieri tra cui
molti giovani. Nelle stazioni di Firenze, che frequento in assoluto di più, col
tempo ho individuato anche alcune di queste persone che evidentemente sono
diventate stanziali e che, per così dire, fanno ormai parte del paesaggio. C’è
in particolare un uomo che incontro immancabilmente ogni volta che transito per
Santa Maria Novella, e che mi ha sempre incuriosito. Pur essendo senza ombra di
dubbio un homeless, deve essersi in qualche modo organizzato; non l’ho mai
visto elemosinare, né vagare frastornato con bottiglie in mano, e, pur
nell’evidente abbigliamento di recupero, è a suo modo sempre in ordine. Deve
essere un frequentatore attento e organizzato dei vari servizi assistenziali e
caritativi. Se mi è capitato qualche volta di vederlo sofferente, sudato e
sporco, è stato soltanto in estate, forse perché in quel periodo i servizi funzionano
peggio, o forse perché, più semplicemente, è una stagione che ama di meno. Anche gli homeless avranno i loro gusti…
Mi sono chiesta spessissimo che storia ci sia dietro
quell’uomo, quell’homeless, quel barbone. Ecco che le interviste raccolte in
“Storie di altri passeggeri” rispondono in qualche modo, per quanto
indirettamente, alla mia curiosità.
Si tratta di storie comuni, a tratti banali, che a un
certo punto hanno più o meno bruscamente sterzato in quella terra di nessuno
che è il vivere per strada. Che si è presentata, tutt’a un tratto, come l’unica
alternativa possibile.
Non possiamo sempre affermare che si tratti di persone
“come noi”, per dirla banalmente. In alcuni soggetti i caratteri sono
decisamente sopra le righe, le vicende non sono propriamente di quelle che
capitano a tutti, certo c’è modo e modo di reagire agli imprevisti della vita e
non è detto che le difficoltà riducano sempre, matematicamente, per strada…
però, talvolta, quando le circostanze, le concomitanze, le congiunture… Insomma
è come se ciascuno di questi personaggi ci guardasse negli occhi, facesse
spallucce e dicesse: “E’ andata così…”
Certo che da queste pagine emergono ritratti molto
vividi; in questo, sì, si
tratta di persone assolutamente come noi, con il
proprio bagaglio di esperienze e ricordi, con la propria personalità, le
proprie sensibilità, antipatie e simpatie, desideri e speranze. Alessandro
Radicchi, curatore del volume, intelligentemente non chiede agli homeless
soltanto di raccontare la loro storia, ma li fa parlare anche di altro;
sentimenti, ideali, progetti, sogni, restituendo loro quella dignità di persone
che lo stare per strada rischia di far loro perdere. Non si può restare
indifferenti di fronte a questi personaggi, e mi è tornato in mente un passo di
un libro di Natalia Ginzburg che ho letto anni fa, “Caro Michele”, pubblicato
nel 1973. La voce narrante si rivolge a
Mara, una giovane scombinatissima ragazza madre, dicendole: “Così penso che
cercheremo ogni tanto di mandarti dei soldi. Non è che i soldi ti risolvano
niente essendo tu sola, sbandata, vagabonda e balorda. Ma ognuno di noi è
sbandato e balordo in una zona di sé e qualche volta fortemente attratto dal
vagabondare e dal respirare niente altro che la propria solitudine, e allora in
questa zona ognuno di noi può trasferirsi per capirti.”
Finisco la lettura delle interviste con la sensazione di
aver imparato qualcosa; che nella zona in cui io stessa sono un po’ vagabonda e
balorda abitano gli “altri passeggeri” incontrati da Radicchi… e che non mi è
difficile entrare in sintonia con loro, che in fondo condividono con me molto
di più di quanto la mia vita normale e “borghese” potrebbe far sospettare. Come
se a loro fosse toccata in sorte quella parte rovesciata di vita che non è
toccata a me, per una diversa alchimia e combinazione delle variabili
ambientali e caratteriali.
E non mi spiace pensare che quell’homeless della stazione
di Firenze si sia accorto di me, e che mi osservi così come io osservo lui,
notando il mio arrivo e pensando:
“Rieccola!”
Magari si chiederà se mi piacciono davvero i miei vestiti
e le mie scarpe almeno apparentemente così scomode, cosa ci sarà mai nella
pesante borsa portadocumenti che pende dalla mia mano sinistra, come mai ho
spesso quell’espressione tirata sul viso e se tutti gli impegni che mi
aspettano nella giornata siano di mio gradimento; probabilmente non mi invidia,
e chissà che qualche volta non gli scappi addirittura un “Poveretta!”.
Storie di altri passeggeri, a cura di Alessandro Radicchi, ec edizioni, Roma 2014. Il ricavato del libro è interamente devoluto a progetti di inserimento sociale delle persone emarginate nella stazione di Roma Termini. per l'acquisto e maggiori informazioni:
www.shaker.roma.it
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